lunedì 10 giugno 2013

La prima guerra mondiale (seconda parte)


Neutralisti ed interventisti. Allo scoppio della guerra l’Italia si dichiara neutrale; ciò è possibile in quanto la Triplice Alleanza aveva solo carattere difensivo. In seguito, tuttavia, l’opinione pubblica si divide tra chi non vuole la guerra (neutralisti) e chi vuole invece parteciparvi (interventisti).
Gli interventisti sono la minoranza, ma sono molto attivi. Mossi da ideologie diverse, sono sostenute dal re, che desidera affermare il proprio prestigio, e dagli industriali, che vedono nel conflitto un’ottima possibilità di affari. Fra essi vi sono:
  • gli irredentisti e i radicali, che concepiscono il conflitto come l’ultima guerra risorgimentale contro l’Austria per la liberazione di Trento e Trieste;
  • i nazionalisti, che ritengono che la guerra sia un valore e possa conferire importanza alla nazione;
  • Benito Mussolini, che dopo essere stato espulso dal PSI fonda un nuovo quotidiano, «Il Popolo d’Italia», attraverso cui predica la forza rivoluzionaria della guerra.

I neutralisti sono la maggioranza del paese. Sono formati soprattutto da contadini e operai, che non intendono rimanere vittime del terribile conflitto.
Sono neutralisti:
  • i socialisti, fedeli alla tradizione pacifista del partito, e convinti che la guerra sia un affare dei borghesi capitalisti;
  • i cattolici, che rifiutano la guerra per motivi religiosi (il papa Benedetto XV la definì “inutile strage”);
  • Giolitti, che teme che la guerra possa avere nuocere alla vita politica.


Il movimento neutralista non riesce tuttavia ad imporsi. Due eventi determinano l’entrata in guerra dell’Italia: le manifestazioni di piazza del maggio 1915 (le «radiose giornate») e la volontà del re e del capo del Governo, che già da tempo hanno preso contatti con i paesi dell’Intesa. Salandra e il ministro degli esteri Sonnino sottoscrivono, insieme con Francia, Inghilterra e Russia, il Patto di Londra, nel quale si prevede che, in caso di vittoria, l’Italia ottenga il Trentino, il Sud Tirolo, la Venezia-Giulia, la penisola istriana (esclusa la città di Fiume), parte della Dalmazia e le isole adriatiche. Il Parlamento, a maggioranza neutralista, si oppone, costringendo Salandra alle dimissioni, ma il re le respinge, obbligandolo a concedere pieni poteri al governo.


Il fronte italiano. Il 23 maggio 1915 l’Italia dichiara guerra all’Austria. Il comando dell’esercito viene affidato al generale Luigi Cadorna. Cadorna sferra quattro attacchi — le prime quattro battaglie dell’Isonzo — senza alcun successo e con un numero elevatissimo di morti.
Nel giugno 1916 l’esercito austriaco passa al contrattacco («spedizione punitiva»), cogliendo in un primo tempo gli italiani di sorpresa. Nel 1916 vengono poi combattute altre cinque battaglie dell’Isonzo, tutte sanguinose ma senza risultati.
Il 1917 è l’anno più difficile della guerra; i soldati e la popolazione sono stanchi. Il comando tedesco decide di rafforzare l’esercito e attacca le truppe italiane nei pressi di Caporetto. I soldati italiani sono costretti alla ritirata, lasciando in mano al nemico un’enorme porzione di territorio (fino al Piave). Cadorna addossa le colpe ai suoi uomini, ma l’errore è stato del comando, sicché è sostituito da Armando Diaz.

Nel 1918, proprio con le battaglie del Piave e dell’altopiano di Asiago, iniziò la rimonta italiana, che si concluse con il successo definitivo di Vittorio Veneto. Il 3 novembre, mentre i soldati italiani entravano a Trento e Trieste, venne firmato l’armistizio con l’Austria. Dopo 41 mesi la guerra era finita; essa era costata all’Italia 600.000 morti e un milione tra mutilati e feriti.

giovedì 6 giugno 2013

La prima guerra mondiale (prima parte)


Le cause 
L’evento che determina lo scoppio della prima guerra mondiale è l’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono d’Austria, il 28 giugno 1914 a Sarajevo per mano di uno studente serbo.
Tuttavia, allo scoppio del conflitto e alla sua successiva estensione su scala mondiale concorre una serie di tensioni preesistenti:
  1. Il giovane impero tedesco ha imboccato la strada di una rapida industrializzazione, cosa che preoccupa molto l’Inghilterra, la quale teme una rottura degli equilibri esistenti tra i paesi europei e la perdita della sua supremazia navale.
  2. I francesi non hanno ancora accettato la sconfitta inflitta loro dalla Germania nel 1870 (guerra franco-prussiana) e sono molti coloro che chiedono la restituzione alla Francia dell’Alsazia e della Lorena.
  3.  I rapporti tra impero austro-ungarico e Russia sono molto tesi per i continui scontri dei rispettivi interessi nei Balcani. 
  4. In molti paesi europei la popolazione è animata da sentimenti nazionalisti o dall’aspirazione all’indipendenza.


Lo scoppio della guerra
Dopo l’assassinio di Francesco Ferdinando, l’Austria reagisce inviando un duro ultimatum che la Serbia, forte del sostegno della Russia, accetta solo in parte; come conseguenza, il 28 luglio 1914 l’Austria dichiara guerra alla Serbia e immediatamente il governo russo decide di intervenire.
La Germania interpreta l’intervento russo come una minaccia e, in nome della Triplice Alleanza stipulata nel 1882 con Austria e Italia, invia alla Russia un ultimatum, seguito dalla dichiarazione di guerra.
La Francia, legata alla Russia e all’Inghilterra nella Triplice Intesa, mobilita le sue forze armate; subito dopo la Germania invia l’ultimatum e poi la dichiarazione di guerra alla Francia.
La tattica tedesca prevede di invadere la Francia passando attraverso il Belgio, nonostante la sua neutralità, per poi dirigere il grosso delle truppe contro la Russia. Dopo che la Germania ha invaso il Belgio, la Gran Bretagna scende in campo contro gli imperi centrali.

La guerra di trincea
Gli eserciti scesi in campo nella «grande guerra» non hanno precedenti per dimensioni, ma all’inizio le strategie sono ancora legate al secolo passato e puntano sulla guerra di movimento (che prevede uno spostamento rapido di un gran numero di uomini in preparazione a pochi scontri risolutivi).
Agli inizi dello scontro bellico, i tedeschi pensano di poter conquistare facilmente il territorio francese, ma, lungo il corso della Marna, vengono bloccati dalle truppe francesi; non si tratta di una guerra breve, bensì di una guerra di logoramento. Comincia la cosiddetta guerra di posizione (che vede due schieramenti nemici fissi sulle loro posizioni). A quel punto, la vera protagonista del conflitto diviene la trincea (un fossato scavato nel terreno): la vita monotona ma dura che vi si svolge è interrotta solo saltuariamente da grandi e sanguinose offensive, prive di reali risultati. La guerra di trincea stanca i soldati, il cui stato d’animo di apatia e rassegnazione sfocia spesso in forme di insubordinazione e autolesionismo. Ad esempio, molti giovani si procurano volontariamente ferite e mutilazioni per essere dispensati dal servizio al fronte.
In soli quattro mesi di combattimenti, la guerra di logoramento provoca ben 4.000 morti. Infatti, il primo conflitto mondiale si caratterizza pure per l’uso sistematico di nuovi ritrovati tecnologici: artiglieria pesante, fucili a ripetizione, mitragliatrici. Vengono utilizzate anche armi chimiche (gas) lanciate nelle trincee, dove provocano orribili stragi. Inoltre, si sviluppano settori innovativi come l’industria automobilistica, la radiofonia e l’aeronautica; quest’ultima, però, dà un minimo apporto ai combattimenti. Poco rilevante è anche il ricorso al carro armato, che, privo di cingoli, costituisce ancora un mezzo rudimentale; al contrario, si rivela importantissimo il sottomarino, impiegato soprattutto dai tedeschi.


Le fasi del conflitto
Fronte orientale. Nel corso del primo anno di guerra, le truppe tedesche attaccano i russi sconfiggendoli nelle battaglie di Tannenberg e dei laghi Masuri. Nonostante l’offensiva russa, sono i tedeschi che continuano ad ottenere qualche successo: prima contro i russi, che devono abbandonare la Polonia, poi contro la Serbia, che viene attaccata, invasa e conquistata.
Nel corso del 1916 i russi recuperano parte dei territori persi l’anno precedente, il che induce i rumeni a intervenire a fianco dell’Intesa, ma la Romania viene a sua volta conquistata dai Tedeschi.
Nel 1917 la situazione cambia. La rivoluzione bolscevica in Russia porta alla disgregazione dell’esercito e spinge il governo di Lenin a chiedere una pace «senza annessioni e senza indennità». La Pace di Brest-Litovsk, comporta per la Russia gravi perdite territoriali tra la Finlandia e l’Ucraina, ma Lenin riesce a salvare il nuovo Stato socialista.

Fronte occidentale. Nell’estate del 1914 i tedeschi invadono la Francia passando attraverso il Belgio e si attestano lungo il corso della Marna, a pochi chilometri da Parigi. Le truppe francesi riescono però a respingerli e a farli arretrare. Gli eserciti contrapposti restano pressoché immobili per tutto il corso del 1915. All’inizio del 1916 i tedeschi cercano di attaccare la piazzaforte di Verdun; l’attacco dura quattro mesi e si risolve in una carneficina che non giova a nessuno dei due schieramenti, i quali, nei primi mesi del 1918, sono ancora in una situazione di equilibrio. In primavera però i tedeschi avanzano e nel mese di giugno sono nuovamente sulla Marna. L’Inghilterra invia truppe in aiuto degli alleati francesi, che in agosto, ad Amiens, infliggono ai tedeschi l’unica vera sconfitta da essi subìta sul fronte occidentale. È allora che l’alto comando germanico capisce di aver perso la guerra.

L’intervento americano. Nel maggio del 1915 un sottomarino tedesco affonda il transatlantico inglese Lusitania con a bordo 1.000 passeggeri, tra cui 140 americani, inducendo gli USA a protestare tanto energicamente da convincere la Germania a sospendere la guerra sottomarina indiscriminata. Nel 1917, però, quando i sommergibili tedeschi riprendono i loro attacchi, gli USA decidono di entrare in guerra e, pur non disponendo di un esercito pari a quello degli alleati, il loro apporto si rivela comunque decisivo per le sorti del conflitto in virtù del grosso aiuto economico che sono in grado di offrire.

Dopo la «rivoluzione di ottobre» in Russia, gli Stati dell’Intesa acuiscono il carattere ideologico della guerra, la quale assume i toni di una difesa della libertà dei popoli contro i disegni egemonici degli imperi centrali. Fautore di tale interpretazione è il presidente statunitense Wilson che precisa la sua politica in un programma di pace redatto in 14 punti, in cui propone l’istituzione di un organismo internazionale, con lo scopo di assicurare il nuovo assetto che auspica per l’Europa: la Società delle Nazioni.

sabato 1 giugno 2013

Ancora sulla Seconda Guerra Mondiale: una sintesi


Pubblichiamo una sintesi dell'articolo precedente dedicato al secondo conflitto mondiale.

Verso la guerra
L’aggressiva politica di espansione della Germania nazista portò, in breve tempo, allo scoppio di un secondo conflitto mondiale, a soli venti anni dalla conclusione del primo. 
La prima prova generale dell’alleanza militare fra Hitler e Mussolini, segnata dall’Asse Roma – Berlino, fu la guerra civile spagnola; il successivo patto anti – Comintern portò anche il Giappone nel sistema di alleanze naziste. 
Hitler, che aveva avviato un profondo riarmo della Germania, rivolse la sua attenzione all’Austria: l’Anschluss (annessione) avvenne nel 1938, senza che Gran Bretagna e Francia intervenissero in merito. 
A quel punto Hitler minacciò l’invasione del territorio dei Sudeti, regione della Cecoslovacchia a maggioranza tedesca. Gli accordi di Monaco portarono alla cessione dei Sudeti alla Germania, con l’impegno di questa a non avanzare nuove pretese. 
Nonostante gli accordi di Monaco, nel 1939 le truppe naziste invasero la Cecoslovacchia: la Slovacchia divenne uno stato satellite, il resto della nazione divenne territorio tedesco. 
Nello stesso tempo Hitler procedeva a richiedere la cessione del territorio di Danzica, una striscia di territorio polacca che divideva la Prussia Orientale dal resto della Germania. La Polonia rifiutò le nuove pretese del Fuhrer, mentre le trattative fra gli altri paesi per un sostegno alla Polonia fallirono.
Nel frattempo Mussolini, per bilanciare lo strapotere della Germania, invase l’Albania. Ma era vero che l’Italia ormai si muoveva nell’orbita del potente alleato: abbandonando la funzione di mediatrice (che aveva avuto a Monaco), l’Italia legò i propri destini alla Germania con il Patto d’Acciaio, che impegnava il nostro paese ad entrare in guerra a fianco della Germania. 
L’evento però che stupì tutta Europa fu il patto Molotov – Ribbentrop, un patto di non aggressione della durata di dieci anni fra Germania ed Unione Sovietica. Quest’ultima, delusa del fallimento delle trattative con le potenze occidentali, cercava con tale accordo di mettersi al sicuro da attacchi. Tale patto comprendeva comunque una clausola segreta, che prevedeva la spartizione della Polonia fra i due inconsueti alleati. 

La guerra lampo ed i successi tedeschi
La guerra scoppiò il 1° settembre 1939; in meno di un mese il paese venne occupato da nazisti e sovietici. Le forze armate tedesche avevano attuato con successo la cosiddetta “guerra lampo”, una guerra di movimento caratterizzata dal sostegno delle forze aeree e dall’intervento di mezzi corazzati. L’invasione determinò la dichiarazione di guerra di Inghilterra e Francia alla Germania.
Mentre Mussolini, con il consenso di Hitler, preferì restare neutrale al momento, l’URSS procedette all’attacco della Finlandia: nonostante la strenua resistenza del piccolo paese, esso dovette arrendersi pochi mesi dopo. 
La Francia, dal canto suo, attendeva un attacco sulla linea Maginot; ma qui non accadde nulla. Con una mossa a sorpresa, Hitler, nella primavera del 1940, occupò dapprima Danimarca e Norvegia, poi invase i Paesi Bassi, attaccando la Francia da Nord. Le truppe anglo - francesi non riuscirono a contrastare l’attacco e dovettero ritirarsi via mare dal porto di Dunkerque: nel giugno del 1940, Hitler entrò a Parigi
I travolgenti successi nazisti indussero Mussolini ad entrare nel conflitto, dichiarando guerra alla Francia. L’attacco al confine italo – francese (la cosiddetta “pugnalata alle spalle”) non riuscì però ad ottenere grandi successi. 
Mentre la Francia del Nord era occupata militarmente dalla Germania, i Nazisti riuscirono ad imporre nel Sud della Francia un governo collaborazionista, guidato dal maresciallo Petain e con sede a Vichy. Nel frattempo il generale de Gaulle, a capo dei soldati francesi fuggiti in Inghilterra, invitava la Francia a resistere. 

I primi fallimenti dell’Asse e l’entrata degli USA
Fra l’agosto ed il settembre del 1940 Hitler decise di attaccare l’altro grande avversario, la Gran Bretagna, con una grande offensiva aerea. Ma la battaglia d’Inghilterra, nonostante i danni inferti dalla Germania, vide il fallimento delle operazioni naziste, grazie anche all’azione della RAF (l’aviazione britannica). 
Nel mese di settembre Hitler rafforzò il suo sistema di alleanze con la firma del Patto Tripartito di Germania, Italia e Giappone, a cui poi si aggiunsero Ungheria, Romania e Jugoslavia. 
Da parte sua, Mussolini decise di avviare una “guerra parallela”, attaccando i domini inglesi in Egitto e Sudan e muovendo guerra alla Grecia. Entrambe le operazioni sarebbero state fallimentari: in Africa gli inglesi partirono al contrattacco di tutti i domini italiani (Etiopia, Somalia, Eritrea, Libia), conquistando Addis Abeba e solo l’intervento di Rommel bloccò l’avanzata; in Grecia la guerra fu disastrosa e solo l’intervento tedesco impedì l’occupazione dell’Albania da parte dei Greci. 
L’intervento nazista nei Balcani incrinò i rapporti tra Germania e URSS. Hitler decise nel 1941 di attaccare l’ex alleato, per motivi militari (proteggersi a oriente), motivi economici (le riserve russe di materie prime), motivi ideologici (lotta contro il giudaismo marxista), motivi di espansione (ricerca dello “spazio vitale” verso est); motivi razziali (sottomissione dei popoli slavi, considerati inferiori).
In preparazione all’attacco, Hitler invase Bulgaria e Jugoslavia; poi, a giugno, con l’Operazione Barbarossa, diede il via ad un attacco poderoso in tre direzioni: Leningrado, Mosca e il Mar Nero. Le perdite inflitte ai russi furono terribili, ma il piano di occupazione rapida fallì: l’avanzata fu fermata dalla resistenza russa, dalla difficoltà dei rifornimenti e dall’arrivo del terribile inverno russo. L’attacco, oltretutto, determinò un avvicinamento dell’URSS alle potenze alleate, contro la minaccia nazista.
Per quanto riguarda gli Stati Uniti, essi, pur non partecipando alla guerra, avevano fornito aiuti militari alla Gran Bretagna e con la legge “affitti e prestiti” (1941) anche sostegni economici. Nel mese di agosto, USA e Gran Bretagna firmarono la Carta Atlantica, per stabilire i principi per la ricostruzione del mondo dopo la guerra: vi avrebbe aderito anche l’URSS.
Nel Pacifico però il Giappone aveva attuato una politica espansionistica: aveva attaccato l’Indocina Francese ed aveva firmato un patto di non aggressione con l’URSS, per tutelarsi a nord. Nel dicembre 1941, con un attacco a sorpresa, l’aviazione giapponese distrusse mezza flotta americana a Pearl Harbor (Hawaii). Seguì la dichiarazione di guerra di inglesi ed americani al Giappone. 
Fino alla primavera del 1942, le forze giapponesi ottennero grandi successi, occupando gran parte del Sud Est asiatico, da Hong Kong alla Birmania, attaccando anche l’Australia. L’occupazione giapponese, a parte alcuni eccessi, non fu violenta come quella nazista: non vi erano piani di sterminio razziale ed anzi in genere i Giapponesi cercavano il favore delle popolazioni occupate. 

Il nuovo ordine e la soluzione finale
Nei paesi occupati il regime nazista cominciò ad imporre il “nuovo ordine”, basato sulla superiorità della razza ariana, sull’occupazione dello “spazio vitale” a est, sull’asservimento dei popoli slavi e sulla realizzazione della soluzione finale del problema ebraico. 
Le leggi antisemite (che in Germania erano state adottate sin dal 1935, con le Leggi di Norimberga) furono estese a tutti i territori occupati. Quindi, gli ebrei vennero rinchiusi nei ghetti, quartieri separati da dove era proibito uscire, in cui pativano l’affollamento, la fame, la mancanza di igiene. Essi avevano l’obbligo di portare la stella di Davide sugli abiti. Infine, essi vennero deportati in campi di concentramento e di sterminio (lager), insieme ad altri elementi considerati “indesiderabili”, come i dissidenti politici, gli zingari, i malati di mente. Dopo un lungo ed estenuante viaggio in vagoni merci, durante il quale una parte moriva per i patimenti, nei lager essi venivano sottoposti ad una selezione: chi non era giudicato idoneo al lavoro (vecchi, malati, bambini) veniva eliminato; gli altri venivano condotti ai lavori forzati, finchè non morivano di stenti o nelle camere a gas. 
La soluzione finale era stata a lungo discussa fra i capi nazisti. Inizialmente, si pensò ad una deportazione di massa nelle pianure slave o nel Madagascar, ma furono soluzioni considerate troppo complicate. Solo dopo si progettò una vera e propria eliminazione fisica. In previsione all’attacco all’URSS furono creati dei reparti delle SS al fine di eliminare tutti gli ebrei trovati nelle terre slave occupate. Il documento che segnò la svolta fu il protocollo di Wansee: esso prevedeva lo sterminio programmato di tutti gli ebrei, dopo averli concentrati in appositi impianti per l’eliminazione di massa. I più importanti furono Buchenwald, Dachau, Bergen-Belsen (in Germania), Mauthausen (in Austria), Treblinka, Auschwitz-Birkenau (in Polonia). Nel campo di Auschwitz venne sperimentato per la prima volta il sistema delle camere a gas, mediante il micidiale gas Zyclon B. In questo campo, in cui morì un milione di ebrei, si arrivò a seimila incenerimenti al giorno. Ricordiamo infatti che i cadaveri, con macabra efficienza, venivano prontamente eliminati nei forni crematori appositamente allestiti.

Approssimativamente, durante l’occupazione nazista, vennero eliminati sei milioni di ebrei. 
Le forme di occupazione nazista in Europa, tramite la quale organizzare il “nuovo ordine”, erano molteplici:
- i protettorati  (Polonia e terre occupate a est), vere e proprie colonie, senza alcuna autorità locale
- i paesi occupati militarmente (Francia, Norvegia, Paesi Bassi, etc.)
- gli Stati indipendenti, ma satelliti della Germania (Italia, Ungheria, Romania, la Francia di Vichy)

I successi alleati
Nella seconda metà del 1942 gli Alleati passarono al contrattacco. Furono tre le battaglie decisive: Midway nel Pacifico, El Alamein in Africa e Stalingrado in Russia. Con la prima, l’attacco giapponese venne bloccato, dando inizio alle vittorie americane; con la seconda, le truppe di Rommel vennero fermate da quelle inglesi guidate da Montgomery, e vennero definitivamente battute con il successivo arrivo delle truppe americane di Eisenhower (nel maggio 1943, gli italo – tedeschi dovettero arrendersi); con le terza, legata ad un lungo assedio, si ebbe l’inizio del crollo militare tedesco, che cominciò a ripiegare (anche l’Italia, che aveva inviato un corpo armato, l’ARMIR, subì gravissime perdite).
Con la conferenza di Teheran (fine del 1943) Stalin, Churchill e Roosevelt si riunirono per decidere le strategie della guerra e organizzare il futuro dell’Europa. In particolare Stalin ottenne dagli alleati la creazione di un nuovo fronte di guerra in Europa, con uno sbarco in Francia; venne anche stabilita la divisione della Germania.

Il crollo del fascismo, l'armistizio, la RSI
In Italia, il fascismo aveva perso molto sostegno popolare, soprattutto per l’esito negativo della guerra, tanto che, nel marzo del 1943, scoppiarono i primi scioperi nelle fabbriche del Nord. 
L’occupazione alleata dell’Africa settentrionale preparò lo sbarco in Italia: il 9 luglio avvenne lo sbarco in Sicilia. La rapida avanzata degli alleati accelerò la fine del regime: nella notte del 25 luglio il Gran Consiglio del Fascismo votò la sfiducia a Mussolini. Il re lo destituì e lo fece arrestare, affidando il governo al maresciallo Badoglio. Il nuovo governo tenne però una condotta ambigua: pur sciogliendo il partito fascista, confermò l’alleanza con la Germania. In realtà venivano condotte nel frattempo trattative segrete con gli alleati, che si conclusero con la dichiarazione dell’armistizio l’8 settembre. Mentre gli alleati sbarcavano a Salerno, il re ed il governo si rifugiarono a Brindisi, lasciando allo sbando l’esercito.
Le truppe tedesche reagirono scendendo dalla frontiera del Brennero e attaccando i soldati italiani che non consegnavano le armi, liberando Mussolini e aiutandolo a costituire lo stato fascista della Repubblica Sociale Italiana, con capitale Salò, sul Lago di Garda (Brescia), uno stato satellite della Germania. Inoltre i soldati italiani, sia in Italia che nei Balcani, vennero arrestati e deportati. 
Nel mese di ottobre Badoglio dichiarava guerra alla Germania, trasformando l’Italia in paese “cobelligerante”: l’ambiguo termine indicava che l’Italia non era una vera alleata, ma un ex – nemico, un tempo alleato dei nazisti.
Le truppe tedesche, inoltre, fermarono l’avanzata alleata a Cassino, dove resistettero sino alla primavera del 1944. 
L’Italia si trovava, così, drammaticamente divisa in due. 

La Resistenza
Nelle zone controllate dalla Germania si formò un movimento partigiano, che combatteva tedeschi e fascisti. Questi fenomeni di Resistenza, del resto, si formarono in molti paesi europei, con caratteristiche diverse; l’aspetto comune era la lotta di liberazione dalla Germania ed a volte anche da forze nazionali che lo appoggiavano (diventando così guerra civile).
In Europa settentrionale i primi movimenti di Resistenza erano avvenuti nel 1940. Qui i partigiani compivano azioni di sabotaggio, guerriglia e diffondevano stampa clandestina.
In Francia i rapporti tra De Gaulle e la Resistenza non furono facili, a causa del carattere comunista di questa. De Gaulle riuscì comunque a creare un comitato di liberazione nazionale in Algeria, dopo la liberazione di quest’ultima, che poi sarebbe diventato il governo provvisorio della Francia. 
In Germania non si sviluppò mai una vera Resistenza, sia per il consenso della popolazione a Hitler, sia per il totale controllo del paese da parte delle forze naziste. Paradossalmente le opposizioni più forti vennero da certi reparti militari, ostili allo strapotere di Hitler e delle SS. Nel luglio del 1944 essi organizzarono addirittura un attentato contro il Fuhrer, che fallì. 
In Iugoslavia la Resistenza fu organizzata dal generale Tito e dai nazionalisti serbi. I due gruppi finirono per farsi guerra, al punto che i nazionalisti serbi si allearono con i nazisti contro Tito. Quest’ultimo invece ebbe l’appoggio degli alleati e riuscì alla fine a liberare la Iugoslavia. La dura lotta delle forze di Tito si rivolse anche contro chi aveva collaborato con le forze nazifasciste ed a volte contro i civili. Le foibe, cavità naturali del Carso, furono usate come fosse comuni. 

La fine della guerra in Europa ed in Asia
La linea Gustav, nell’Italia centro – meridionale, venne sfondata dagli alleati nella primavera del 1944. Cassino venne conquistata dopo un lungo bombardamento. Ma i tedeschi riuscirono a fermare l’avanzata alleata sull’appennino tosco – emiliano, sulla famosa Linea Gotica
Nel frattempo, si apriva un nuovo fronte. Nel giugno del 1944 gli alleati effettuarono uno sbarco in Normandia (nord della Francia) con forze ingenti. Ormai la Germania era chiusa in una morsa: l’avanzata italiana a sud, l’occupazione alleata della Francia a nord, l’invasione russa della Polonia a est. Qui, come altre città europee, Varsavia insorse contro i tedeschi, ma Stalin non intervenne, lasciando che i nazisti sopprimessero i suoi eventuali futuri oppositori. 
Alla fine del 1944, vennero liberati i Balcani dalle forze sovietiche; gli inglesi occuparono la Grecia. 
Nel febbraio del 1945, nella conferenza di Yalta, si giunse ad alcuni accordi:
- l’URSS si impegnava a dichiarare guerra al Giappone
- si programmava la divisione della Germania in 4 zone di occupazione
- si decise il risarcimento della Polonia a danno della Germania
- si progettò l’organizzazione delle Nazioni Unite, che avrebbero dovuto in futuro risolvere le controversie internazionali
Nel mese di aprile, la disfatta delle forze tedesche fu totale. I sovietici occuparono Berlino, e dopo poco gli anglo americani si congiunsero ad essi, decretando la completa occupazione della Germania. 
In Italia la linea gotica venne sfondata a metà aprile. Mussolini tentò la fuga in Svizzera, ma fu riconosciuto ed arrestato dai partigiani e quindi fucilato. Hitler si suicidò nel suo bunker a Berlino qualche giorno dopo. 
Solo il Giappone continuava a contrastare l’America. Per tutto il 1944 vi era stata una serie continua di perdite di posizioni da parte dei giapponesi. L’attacco a Okinawa nel 1945 portò l’offensiva americana sul suolo giapponese. Nel tentativo disperato di resistere, i giapponesi avevano fatto ricorso anche ai piloti suicidi (i kamikaze).
Il nuovo presidente Truman decise di accelerare la caduta giapponese con l’impiego di due bombe atomiche a Hiroshima e Nagasaki, all’inizio di agosto. L’URSS, nel contempo, dichiarò guerra al Giappone, che si arrese a metà agosto.
Il secondo conflitto mondiale era terminato.

Dopo la guerra
Con la Conferenza di Potsdam (estate 1945) gli alleati stabilirono la definiva divisione della Germania (e di Berlino) in 4 zone d’occupazione: la logica della divisione in sfere di influenza prevalse su quella dell’autodeterminazione dei popoli. Si crearono anche le premesse per un divisione in blocchi contrapposti: era il prologo alla futura guerra fredda. 
I trattati di pace furono stilati a Parigi nel 1946: i disaccordi fra URSS e potenze occidentali emersero subito. La più grave questione rimase l’assetto della Germania.
A Norimberga, i gerarchi nazisti vennero processati e condannati per crimini contro l’umanità, un nuovo concetto giuridico. 
Tutto ciò che il nazismo aveva creato in Europa venne smantellato. La Polonia tuttavia si vide ridimensionata, e l’URSS mantenne buona parte dei territori invasi durante la guerra.
L’Italia subì pesanti clausole: perse le isole greche, cedette alcuni territori di confine alla Francia, l’Istria e parte della Venezia Giulia alla Jugoslavia. Il territorio di Trieste fu diviso in zona A (controllata dagli angloamericani) e zona B (controllata dalla Jugoslavia). Trieste divenne effettivamente italiana solo nel 1954. L’Albania divenne indipendente e le colonie d’Africa definitivamente perdute.

Considerazioni
Alcuni storici hanno evidenziato la continuità fra Prima e Seconda Guerra Mondiale: si sarebbe trattato di un unico lungo periodo di conflittualità. Ciò in parte è vero, ma la Seconda Guerra Mondiale ha delle caratteristiche ben diverse dalla Prima:
- essa ebbe un’estensione molto più ampia, impiegò molte più risorse, causò molto più vittime (55 milioni contro gli 8 milioni della Prima)
- essa non fu combattuta prevalentemente al fronte, ma coinvolse in modo totale e drammatico tutta la popolazione ed ogni aspetto della vita (si pensi soltanto alle distruzioni causate dai massicci bombardamenti aerei su tutte le città europee, od ai rastrellamenti ed alle deportazioni)
- essa comportò un impiego massiccio di tecnologie, che condusse, fra l’altro, alla creazione di un nuovo ordigno, la bomba atomica, che pose drammatici interrogativi etici
- essa è stata dominata da un’ideologia nazista, mirante a creare un nuovo ordine nel mondo, basato sul predominio di una presunta “razza superiore” e teso a realizzare lo sterminio di un intero popolo

Schopenhauer



Cenni biografici. Arthur Schopenhauer nacque a Danzica nel 1788. Ebbe un’educazione raffinata e poté viaggiare molto, imparando diverse lingue straniere. A Weimar frequentò il salotto letterario organizzato dalla madre e conobbe i migliori ingegni, come Goethe, gli Schegel, etc. Molti erano i suoi interessi; ma alla fine decise di laurearsi in filosofia, presso l'Università di Jena.
Grazie all'eredità lasciatagli dal padre, poté vivere di rendita e dedicarsi completamente allo studio e alla ricerca. Nel 1818 pubblicò il suo capolavoro più famoso, “Il mondo come volontà e rappresentazione”. Pensò quindi di dedicarsi all'insegnamento universitario e scelse Berlino, dove dominava la filosofia di Hegel: logicamente le sue lezioni non furono seguite da nessuno ed egli si trasferì a Francoforte, dove rimase per il resto della vita, continuando a studiare e pubblicare. Il successo arrivò molto tardi, con la pubblicazione di “Parerga e paralipomena”. Morì nel 1860.

Il mondo come volontà e rappresentazione. Il capolavoro del filosofo, del 1819, considera il mondo una rappresentazione. È un’idea tipica della filosofia moderna: da Cartesio in poi, i filosofi affermano che l’unica conoscenza certa è quella dentro la nostra coscienza, perché non possiamo uscire da essa. Per Schopenhauer dunque il mondo è solo una nostra rappresentazione. Ogni rappresentazione, ovviamente, ha due elementi: il soggetto e l’oggetto. Sbaglia dunque il materialismo, perché riduce tutto a oggetto; ma sbaglia anche l’idealismo perché riduce tutto a soggetto.

Il velo di Maya. Naturalmente il mondo, che è nostra rappresentazione, è fenomeno; ma non come l’aveva inteso Kant. Per Kant il fenomeno era una realtà, anzi l’unica realtà conoscibile. Per Schopenhauer invece il fenomeno è una specie di illusione, che nasconde la vera realtà delle cose. È come il “velo di Maya” del pensiero indiano. La vita è come un sogno, un’apparenza, proprio come affermavano grandi pensatori di tutti i tempi: i Veda, Platone, Shakespeare, Calderon de La Barca e così via.

La vera essenza: la Volontà. Ma, oltre all’illusione, esiste la realtà vera. Essa può essere raggiunta, a differenza del noumeno. L’uomo, che a differenza degli altri animali è un “animale metafisico”, può interrogarsi sulla vera essenza della vita, scrutando dentro se stesso. Tale essenza è la Volontà, un impulso fortissimo che spinge ad esistere, ad agire. Essa pervade tutto l’universo ed ogni fenomeno è una sua manifestazione.  
La Volontà è al di là dello spazio, del tempo, della causalità, in quanto al di là dei fenomeni. È anche inconscia perché la coscienza è solo una delle sue possibili manifestazioni: non è la nostra volontà cosciente, ma un impulso, presente anche nelle rocce e nei vegetali.  Essa è unica, perché non è legata ai singoli individui. È cieca, e senza scopo a parte se stessa. La Volontà vuole la Volontà.

Il dolore e la noia. Se la vita è volontà, la vita è anche dolore. Volere significa sentire la mancanza di qualcosa che si desidera, e dunque sentire un vuoto, che non può che portare sofferenza. L’uomo è il più sfortunato, perché in lui la Volontà è cosciente, consapevole. E, fra gli uomini, il genio è colui che soffre di più, proprio perché in lui la consapevolezza e la sensibilità è più alta.
Quello che chiamiamo gioia è solo cessazione momentanea del dolore, per lo scarico di una tensione. Ma ad esso segue un nuovo desiderio, e dunque nuovo dolore. Dunque il dolore è permanente, il piacere è momentaneo. Esiste del resto una terza condizione, che è la noia, che avviene quando non c’è desiderio o non si fa nulla.   
Come un pendolo, la vita umana oscilla tra il dolore e la noia.

Il pessimismo. Il pensiero di Schopenhauer è un pessimismo cosmico radicale: non solo la vita è male, il principio stesso dell’esistenza contiene il male. Il filosofo ovviamente è duramente polemico verso tutte le filosofie ottimistiche e verso le religioni, che vedono il mondo come un meccanismo perfetto, governato da Dio o da un altro principio. È una visione consolatrice, certamente; ma del tutto falsa. In particolare, Schopenhauer non può credere in Dio, perché non c’è spazio per un creatore buono e razionale in un mondo che è male e caos.

L’amore. La vita è dolore anche perché è guerra spietata di tutti contro tutti, in quanto ognuno è spinto alla propria autoconservazione. Alla natura interessa solo la sopravvivenza della specie, e quindi essa inganna gli uomini con l’amore; Cupido è  “il signore degli dèi e degli uomini” perché dietro a lui sta il freddo calcolo della specie. L’atto procreativo, secondo Schopenhauer, è vissuto con vergogna non per motivi religiosi, ma perché commette il reato più grave: il far nascere nuove creature condannate a soffrire.
L'amore per lui è “due infelicità che si incontrano, due infelicità che si scambiano ed una terza infelicità che si prepara!”.

La storia. Schopenhauer critica ogni storicismo. Se andiamo oltre le apparenze, scopriamo infatti che “non vi è nulla di nuovo sotto il sole”. La storia dell'uomo è sempre uguale: quello che cambia non è l'essenza delle cose, ma solo la loro facciata superficiale. L’umanità si illude, perché spera di eliminare il dolore cambiando le condizioni o cercando il progresso. Ma è un inganno. L’unico vero compito della storia è rendere l’uomo consapevole del suo vero destino.

La liberazione dalla Volontà. Quando l’uomo capisce che il mondo è Volontà, è pronto per la salvezza, che coincide con il cessare di volere. Liberarsi dalla Volontà – e dunque dal dolore – può avvenire in tanti modi: suicidio, arte, morale, ascesi.
In realtà egli rifiuta il suicidio, perché esso resta un atto della Volontà, e per giunta esso sopprime solo un individuo, una singola manifestazione della Volontà. È dunque un atto inutile.
In quanto all'arte, essa è conoscenza pura disinteressata che si rivolge alle idee, ossia alle forme eterne. Essa perciò sottrae l’uomo dal giro vizioso dei desideri. Tra le arti spicca la tragedia, che esprime meglio il dolore e l’affanno, e la musica, che rivela la volontà a se stessa. Però è una liberazione momentanea, un conforto temporaneo.
La morale nasce da un sentimento di pietà, in cui noi usciamo da noi stessi, compatiamo il nostro prossimo e giungiamo ad identificarci col suo tormento. La pietà si concretizza in due virtù: la giustizia (che ha un carattere negativo, in quanto consiste nel non fare il male) e la carità (che è la volontà positiva di fare del bene). Ma anche se è una vittoria sull'egoismo, è una vittoria voluta, dunque dipendente dalla volontà.
La liberazione totale dalla Volontà si potrebbe ottenere completamente solo con l’ascesi. Con l’ascesi l’individuo, cessa di volere la vita. Il primo passo verso l’ascesi è la castità, che libera dall'impulso alla propagazione della specie. Allo stesso scopo tendono la povertà, il sacrificio, il digiuno, e così via. Qualora questo cammino fosse compiuto, l’uomo sarebbe davvero libero. La volontà diventerebbe nolontà, e l’uomo giungerebbe al nulla, in un oceano di pace dove si dissolverebbe l’io. Ma forse è un obiettivo impossibile da raggiungere: dal momento che il mondo continua a esistere, dal momento noi continuiamo ad esistere, la Volontà non è stata ancora vinta. 

venerdì 31 maggio 2013

Sintesi: la prosa di Leopardi

Giacomo Leopardi

La conversione estetica. La conversione estetica di Leopardi è il passaggio dall’erudizione illuministica alla scoperta del valore della poesia: vi giunge grazie allo studio ed alle traduzioni, e decide addirittura di intervenire nella polemica classicisti – romantici, con il Discorso di un Italiano intorno alla poesia romantica.
Qui egli difende il classicismo: infatti la poesia classica per lui è autentica, perché proviene dall’immaginazione e dal sentimento degli antichi; però bisogna evitare la fredda imitazione. Quest’ultima osservazione lo fa avvicinare ai Romantici, che accusavano appunto i classicisti di imitare in modo vuoto la poesia del passato.
Però Leopardi non accetta altri due aspetti del Romanticismo: il vero ed il patetico. Nessuno dei due può ispirare la vera poesia: al primo bisogna sostituire le illusioni, mentre il secondo è artificioso, esagerato, privo dell’equilibrio che aveva la poesia classica.

Lo Zibaldone. Per seguire l’evoluzione del pensiero leopardiano diventa prezioso il suo Zibaldone: si tratta della raccolta dei suoi pensieri relativamente alla lingua, alla letteratura, all’autobiografia, alla filosofia, alla morale. Anche se Leopardi compila un indice analitico di questi pensieri, raccolti dal 1817 al 1832, non c’è nessuna sistematicità. Però l’opera è importante perché permette di osservare le tappe delle sue riflessioni.
Nella prima fase, è presente lo scontro tra natura, madre benevola che crea l’uomo felice perché sa immaginare, e la ragione, che rende l’uomo infelice perché lo toglie dal suo stato ingenuo e gli rivela l’“arido vero”. La ragione e la civilizzazione, insomma, allontanano l’uomo dallo stato di natura, che dava la felicità. È quello che viene definito pessimismo storico.
Poi, avviene la cosiddetta conversione filosofica che lo fa avvicinare al sensismo. Ora Leopardi si convince che l’infelicità dell’uomo non ha più ragioni storiche, ma fa parte della natura umana. 
Leopardi sviluppa perciò la teoria del piacere. Ogni uomo tende alla felicità, ma non la può raggiungere mai: il desiderio del piacere è infinito e non può essere appagato da un piacere finito. Esso può trovare un conforto solo nell’immaginazione: nel ricordo (del passato) o nell’illusione (del futuro).
Da queste riflessioni nasce il pessimismo cosmico: la natura è una matrigna, che mette al mondo l’uomo, ma solo per farlo soffrire e poi distruggerlo per conservare se stessa. Il destino dell’uomo è dunque l’infelicità e, quando non c’è il dolore, subentra la noia, perché comunque non è appagato. 
Nell’ultima fase, Leopardi mostra che la funzione dell’intellettuale è svelare al mondo l’inganno della natura: gli uomini devono unirsi per combatterla insieme. In sostanza è quello che viene spesso chiamato pessimismo eroico.

Le operette morali. Durante la fase di silenzio poetico, Leopardi elabora 20 testi in prosa per spiegare il suo pessimismo cosmico. Essi vengono pubblicati poco tempo dopo col titolo di “Operette morali”, senza successo. In seguito la raccolta verrà ampliata fino a giungere il numero di 24 testi. Sono testi di vario tipo, ma soprattutto dialoghi ispirati a Platone e Luciano. Leopardi fa parlare personaggi mitici (Ercole, Atlante…), figure simboliche (Natura, Morte…), personaggi storici (Tasso, Parini…) per vari scopi:

  • mostrare che il dolore è inevitabile
  • sottolineare che la gloria è vana ed illusoria
  • dichiarare che l’universo è senza significato (materialismo e meccanicismo)
  • sostenere che la vitalità è l’unica forza da opporre all’insensatezza dell’universo

Grazie alla profonda cultura classica di Leopardi, lo stile ricorda molto forme e contenuti della prosa antica. Non ci sono tesi da dimostrare, ma piuttosto la volontà di far emergere gli errori della ragione. Per tale motivo, spesso usa una fine ironia.
Tra i più belli, il Dialogo della Natura e di un Islandese  ed  il Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere.

domenica 26 maggio 2013

Freud e la psicoanalisi



Cenni biografici
Sigmund Freud nacque in Moravia, sotto l’impero absburgico, nel 1856, da una famiglia di ebrei commercianti che, in seguito, si stabilì a Vienna. Laureatosi in medicina, ottenne una borsa di studio e andò a Parigi, alla scuola di neuropatologia della Salpetrière, diretta da Charcot. Si sposò ed ebbe sei figli (la più famosa tra loro fu Anna Freud, che continuò le ricerche del padre). L’amico Breuer gli affidò una sua paziente, Anna O., con cui Freud inaugurò il suo nuovo metodo: era nata la psicoanalisi.
Nel 1899 Freud pubblicò L’interpretazione dei sogni, opera fondamentale, trovando all’inizio moltissimi critici. Alcuni anni più tardi vi fu il primo Congresso della Società Psicoanalitica Internazionale, che vide presenti, tra gli altri, Jung (il quale si staccherà poi da Freud).
Freud dovette subire, però, la persecuzione nazista. Nel 1933 a Berlino i nazisti bruciarono, nel rogo dei libri, anche le opere dell’ebreo Freud. Nel 1938 Freud fu costretto ad andarsene e si trasferì a Londra. Morì l’anno dopo, poco dopo l’inizio della seconda guerra mondiale.

La cura delle nevrosi
Alla fine dell’Ottocento, la medicina ufficiale spiegava le sofferenze mentali come conseguenze organiche di lesioni o di disfunzioni del cervello. Inoltre la sfera della psiche era identificata con quella della coscienza, capace di esercitare un dominio totale sugli istinti e sulle azioni.
Freud scopre invece che la causa delle nevrosi è psicogena: significa che essa non deriva da disturbi organici, ma da un conflitto tra forze inconsce. La scoperta dell’inconscio segna l’atto di nascita della psicoanalisi.

La prima topica
Per spiegare i fenomeni psichici bisogna tenere conto:
  • della distinzione tra un livello conscio ed un livello inconscio
  • dell’azione causale dell’inconscio sul conscio.
Da ciò deriva che i moventi del comportamento umano hanno la loro collocazione, più che nella coscienza, nelle profondità dell’inconscio (raffigurato dall’immagine dell’iceberg: la parte sommersa, la più grande, è appunto l’inconscio; la parte che emerge, più piccola, è il conscio; le onde che toccano la superficie sono il preconscio). La psiche è dunque una realtà divisa da Freud in un primo tempo in tre zone. Questa distinzione rappresenta la “prima topica” descritta nel cap. VII della Interpretazione dei sogni.
Le tre zone sono il conscio, il preconscio e l’inconscio.
L’inconscio è una forza attiva, che opera con una sua logica, diversa dalla logica della vita cosciente (basata, ad esempio, sul principio di causalità, di non contraddizione, sulle sequenze temporali). Esso comprende gli elementi psichici che sono mantenuti inconsci da una forza precisa, la rimozione (è quel meccanismo che rimuove, cioè allontana, dalla coscienza le nostre esperienze e i nostri pensieri, soprattutto se sono spiacevoli ed inaccettabili; è dunque in pratica un meccanismo di difesa), Allontanare dalla coscienza non vuol dire però annullare del tutto il ricordo delle esperienze traumatiche, ed è qui che possono sorgere problemi; se vi è stata un’esperienza traumatica, essa può infatti, prima o poi, tornare a galla, ed in modi più o meno spiacevoli (ad esempio nel caso dell’isteria). e che possono tornare consci solo con grande sforzo e con tecniche apposite.
Il preconscio comprende l’insieme dei ricordi, rappresentazioni, desideri, che, pur essendo momentaneamente inconsci, possono, con un piccolo sforzo, diventare consci.
Il conscio si identifica con la nostra attività diurna e consapevole, ed è una situazione alquanto fluida: non siamo mai, infatti, perfettamente consapevoli di tutto quello che facciamo e che vediamo.
conscio e inconscio

La psicoanalisi
Come è possibile forzare la barriera creata dalla rimozione, accedere all’inconscio, e curare ad esempio una nevrosi? Secondo Freud la soluzione è data dalla psicoanalisi.
Essa non usa l’ipnosi (anche se Freud in un primo tempo la usò) perché conoscere la causa di un trauma non basta a riequilibrare le forze in conflitto. Non fa neppure uso di elettroterapia o dei farmaci della medicina ufficiale.
Essa è una “cura con le parole”, che analizza i sogni e usa il metodo delle libere associazioni. Questo metodo consiste nel mettere il paziente in uno stato di rilassamento (da qui il famoso divano su cui ci si sdraia) in modo che egli possa abbandonarsi al corso dei propri pensieri che vengono espressi ad alta voce. Il paziente è invitato a dire tutto quello che gli passa per la testa, senza nessuno scrupolo religioso, morale, sociale, e senza omettere nulla, neppure quello che può sembrargli insignificante, ridicolo o sgradevole.
Accade però che il fluire delle parole abbia a volte un blocco improvviso: è qui che si avverte che c’è qualcosa che non va, che è stato probabilmente rimosso, cioè tenuto lontano dalla coscienza per evitare le sofferenze del ricordo. Compito dell’analisi è ricostruire ciò che non va e scoprirne le cause per poi riequilibrare le forze psichiche in conflitto.
Con questo metodo, il paziente non è più un destinatario passivo della terapia (come nella medicina comune, dove si seguono i consigli del medico) ma diventa egli stesso colui che si cura.
Freud evidenzia l’importante ruolo dato dalla relazione affettiva che si instaura tra il paziente e l’analista, ossia dal transfert (trasferire sull’analista stati d’animo di amore e di odio). Grazie al transfert, il nevrotico abbandona gradualmente le sue resistenze, ossia le forze che gli impedivano di accedere ai conflitti psichici di cui non era conscio ma che producevano la sua nevrosi.

Nevrosi e psicosi
Può essere utile chiarire la differenza tra nevrosi e psicosi.
Le nevrosi sono disturbi in cui il soggetto mantiene il contatto con la realtà: in altri termini, sa di avere qualcosa che non va ma non riesce a capire il perché e, a parte qualche disturbo, per il resto conduce una vita "normale". Si tratta in genere di ansietà, fobie, idee fisse, etc.
Le psicosi sono invece malattie molto più gravi, in cui vi è una alterazione profonda della personalità e l’individuo non ha più coscienza della gravità del suo male per cui ha perso il contatto con la realtà. Si tratta di quei fenomeni psichiatrici come la schizofrenia o la depressione.

Il sogno
Il sogno rappresenta per Freud “la via regia” per conoscere l’inconscio. Durante il sonno, la censura è indebolita e pertanto l’inconscio, con i suoi desideri rimossi, preme con maggiore intensità. Il sogno fa realizzare i desideri inconsci e rende possibile lo scaricarsi della tensione. In questo senso il sogno è definito da Freud come l’appagamento di un desiderio.
Attenzione, però: anche nel sogno, la censura non è scomparsa del tutto e dunque maschera ed altera la realizzazione del desiderio. Perché lo fa? Lo fa, naturalmente, per rendere sempre accettabile alla coscienza i contenuti rimossi.
Ogni sogno ha così un contenuto manifesto (quello che viene ricordato al risveglio) ed un contenuto latente cioè nascosto (il vero significato del sogno). Per interpretare correttamente un sogno, Freud ha scoperto cinque regole :

  • la condensazione (cioè la tendenza ad esprimere in un unico elemento più elementi collegati tra loro);
  • lo spostamento (che consiste nel trasferimento da una rappresentazione ad un’altra);
  • la drammatizzazione (alterazione di situazioni);
  • la rappresentazione per opposto;
  • la simbolizzazione, in cui un elemento sta al posto di un altro.

La metapsicologia
Tale termine fu coniato da Freud nel 1915 per designare la dimensione più propriamente teorica della nuova disciplina. La psicoanalisi non è più soltanto una terapia per malattie nervose, ma una disciplina che serve a fornire una nuova conoscenza dell’uomo in generale (non solo del “malato”, insomma).
Alla base dei fenomeni psichici vi è il principio del piacere: esso ha la funzione di evitare il dispiacere e la sofferenza, appagando i desideri. Però esiste anche il principio di realtà, che cerca di soddisfare la psiche in base alle condizioni (spiacevoli, cioè contrarie al piacere) che ci sono imposte dalla realtà. In altre parole, poiché non possiamo avere tutto ciò che vogliamo, lo sostituiamo con altro. Freud chiama tale meccanismo sublimazione.
Tale dualismo verrà ulteriormente precisato in Al di là del principio del piacere (1920), un saggio nel quale Freud, accanto alle pulsioni sessuali (che non sono semplici istinti), chiamate Eros, riconosce l’esistenza di una pulsione di morte, Thanatos, ossia di una tendenza distruttiva.
Egli giunge a questa conclusione osservando i soggetti che ripetono ossessivamente operazioni anche spiacevoli e dolorose che riflettono conflitti passati.
Quando le pulsioni distruttive o di morte sono rivolte verso l'interno della persona, esse tendono all’autodistruzione, quando sono rivolte verso l’esterno assumono la forma di pulsioni di aggressione e di distruzione. Le pulsioni si presentano spesso come ambivalenti, caratterizzate cioè dalla compresenza dei due principi di vita e di morte; anche la sessualità sarebbe ambivalente, in quanto presenta contemporaneamente amore e aggressività.

La seconda topica
Nell’opera L’Io e l’Es del 1923, Freud individua tre componenti della psiche che non chiama più conscio, preconscio e inconscio come aveva fatto nella prima topica, ma Io, Es e Super Io. Come si vede dall'immagine, Io e Super Io sono parzialmente inconsci.
Stiamo molto attenti: esse non corrispondono alle tre componenti della prima topica. Freud riprende il termine Es, pronome neutro nella lingua tedesca, per indicare il serbatoio dell’energia psichica, l’insieme inconscio delle pulsioni.
L’Es è retto dal principio del piacere, mentre l’Io è retto dal principio di realtà e deve mediare tra le richieste pressanti dell’Es e quelle altrettanto pressanti del Super Io (che è in breve il nostro censore, la coscienza morale, la quale si forma in seguito all’educazione e all’ambiente in cui si vive, e nasce al termine del complesso edipico).
Il Super Io fa le funzioni del giudice nei confronti dell’Io (nell’Io, la percezione inconscia delle critiche del Super Io diventa “senso di colpa”). Insomma, dice Freud, “spinto così dall’Es, stretto dal Super Io, respinto dalla realtà, l’Io lotta per venire a capo del suo compito economico di stabilire l’armonia tra le forze e gli impulsi che agiscono in lui e su di lui; e noi comprendiamo perché tanto spesso non ci è possibile reprimere l’esclamazione : la vita non è facile!”.

La sessualità
Per Freud la pulsione sessuale (detta libido) è la più importante, se non l’unica, della psiche umana. Questa nozione ovviamente era già di per sé rivoluzionaria; ma Freud aggiunse altro.
L’interpretazione dei sogni dei pazienti spinse Freud a notare la presenza di desideri sessuali risalenti all’infanzia. La scoperta della sessualità infantile fu una delle cose più scioccanti della psicoanalisi. Fino ad allora si identificava la sessualità con l’attività genitale dell’adulto. Freud invece la intende come la ricerca del piacere corporeo e dunque, da questo punto di vista, è presente in tutte le età della vita umana.
Freud definisce il bambino “perverso polimorfo”: perverso perché cerca il piacere senza badare al fine riproduttivo della sessualità (non ha dunque alcun valore negativo); polimorfo perché ricerca il piacere attraverso i vari organi corporei.
Freud distingue nello sviluppo della sessualità cinque fasi, ognuna delle quali è caratterizzata dall’organo che vi è privilegiato nella ricerca del piacere (fase orale, anale, fallica, latente, genitale)
Durante la fase fallica nasce il complesso d’Edipo, che indica la normale crisi emotiva, in genere a livello di fantasie inconsce, provocata dai desideri del maschietto verso la madre e la gelosia nei confronti del padre; analogamente succede nella bambina.

La religione
Freud ha affrontato la tematica religiosa in diverse opere (Totem e tabù, L’uomo Mosè e la religione monoteistica). Ne L’avvenire di una illusione (1927), egli critica la religione definendola appunto una illusione, perché è un appagamento illusorio dei desideri più antichi dell’umanità (la felicità, l’immortalità, la giustizia, l’amore).
La stessa figura di Dio, visto come un Padre sia amato che temuto, non sarebbe altro, per Freud, che la proiezione dei rapporti che l’uomo ha col suo padre terreno.
Comunque, Freud non intende dire che la religione sia necessariamente falsa, ma afferma che contiene in sé elementi di illusione, che la rendono indimostrabile. Egli auspica comunque che l’umanità futura possa vivere senza religione visto che essa, secondo Freud, ha fallito il suo compito, cioè non è riuscita a rendere felice la maggior parte degli uomini e gli uomini non sono cambiati. L’abbandono della religione per Freud segnerà il passo verso una maggiore maturità spirituale dell’umanità.

Il disagio della civiltà
In un saggio del 1929, Il disagio della civiltà, Freud ritiene che la civiltà sia una tappa necessaria dell’umanità, ma che comporta un certo grado di infelicità. Essa infatti obbliga l’uomo ad inibire molti desideri e pulsioni, a meno che non le possa deviare verso delle mete socialmente e moralmente accettabili (ecco ancora la sublimazione).
Perché una società reprime la libido? Perché da un lato deve neutralizzare una forza individualistica e amorale, minacciando la convivenza civile (ecco il perché del tabù dell’incesto); e perché dall’altro la società non può fare a meno delle forze e dell’energia dei suoi membri e dunque deve obbligare ciascuno di essi ad investire l’energia della libido in prestazioni di tipo socialmente accettabile (ecco il perché di regole e divieti sessuali in tutte le società).
Però, visto che è impensabile il dominio assoluto del Super Io sull’Es, allora un certo grado di disagio, di infelicità, di sofferenza, di nevrosi è inevitabilmente connesso con la civiltà stessa. L’uomo non può sopravvivere senza civiltà, ma nella civiltà non può mai vivere del tutto felice. 

giovedì 23 maggio 2013

Il mondo bipolare


L’Europa dei blocchi

Alla fine del secondo conflitto mondiale l'Europa e il mondo si trovarono divisi in due blocchi contrapposti: quello occidentale, con a capo gli USA, e quello orientale, controllato dall'URSS. Fu l'ex premier inglese Winston Churchill a descrivere per pri­mo il clima di ten­sione creatosi in Europa dopo la guerra. Egli parlò di una "cortina di ferro" che separava l’Oriente europeo dal mon­do libero ed espresse la necessità di combattere contro l'avanzata del comunismo.
Le due superpotenze proponevano modelli di società, di economia e di cultura an­titetici. Gli USA e i Paesi loro alleati erano retti da democrazie parlamentari; l’URSS e i Pae­si comunisti erano Repubbliche popolari a partito unico.
La contrapposizione tra i due blocchi assunse la denominazione di "guerra fredda": uno scontro indiretto, in cui i due contendenti ricorrevano ai mezzi più sottili dello spionaggio, della propaganda, della diplomazia; l’arma forse più micidiale in questa fase fu la minaccia di una guerra nucleare.
L’elemento distintivo del periodo fu la cosiddetta "corsa agli armamenti". Le due grandi potenze tesero ad ampliare in ma­niera esponenziale i loro arsenali militari a scopo offensivo e difensivo.
Nel 1949 l’URSS fece esplodere la sua prima bomba atomica, cosa che ebbe un drammatico contraccolpo psicologico negli USA.
La linea di demarcazione tra i due blocchi era in Europa abbastanza netta e spacca­va in due il continente.
Le crisi diplomatiche furono frequenti e spesso ci si avvicinò a un conflitto aperto. Il problema del destino politico della Germania rappresentava per l'Europa un nodo cruciale. Dal 1947 la parte ovest di Berlino, sotto l’amministrazione di Francia, Gran Bretagna e USA, era stata integrata nel sistema politico-economico occidentale.
Nel 1948 i sovietici reagirono a tale politica con il blocco di Berlino, impedendo ogni comunicazione fra la zona ovest della città e i Paesi occidentali. Il blocco fu tolto solo nel 1949, dopo il suo fallimento provocato dal ponte aereo di rifornimento organizzato dagli USA.
Nel 1949, a seguito degli accordi di Washington, gli occidentali concessero l'autonomia ai tedeschi, costituendo la Repubblica Federale Tedesca. I so­vietici risposero con la creazione della Repubblica Democratica Tedesca. La città di Berlino rimase divisa in due settori, quello occidentale e quello orientale. Per impedire le frequenti fughe dei tedeschi orientali in Oc­cidente, nell’agosto del 1961 venne eretto il cosiddetto muro di Berlino, che divenne da allora il simbolo della "guerra fredda".
La situazione europea, nonostante le lacerazioni, appariva stabile. Alcune aree pro­blematiche rappresentavano un pericolo facilmente controllabile e nelle zone in cui si sviluppavano movimenti di opposizione all'ordinamento politi­co imposto, i due schieramenti cercavano di reagire con diplomazia, evitando l'uso diretto della forza.
Gli USA avvertivano l'esigenza di limitare l'espansionismo sovietico e contenerne la minaccia entro i confini orientali d'Europa. Secondo questa prospettiva si sviluppò la dottrina Truman con la richiesta di aiuti militari a favore delle forze anti­comuniste. Più diffuso e robusto doveva essere il sostegno economico per quei Paesi che volevano difendere le istituzioni li­beral-democratiche dalla minaccia comunista. Nel 1947 gli USA organizzarono il Piano Marshall che prevedeva l'intervento economico americano a sostegno dei Paesi europei devastati dalla guerra, allo scopo di avviarne la ricostruzione.
Il legame tra gli USA e gli alleati europei si concretizzò, nell'aprile del 1949, con la firma del Patto atlantico, con cui si costituiva un'alleanza militate offensiva e di­fensiva antisovietica (NATO).
L'URSS reagì dando vita al Patto di Varsavia, un'alleanza militate tra i Paesi comunisti.
I due blocchi finirono comunque per realizzare una sorta di "coesistenza paci­fica". I primi segni del "disgelo" fra le due superpotenze furono rappresentati dal trattato di Vienna del 1955, con cui le truppe sovietiche lasciarono l'Austria, e la conferenza di Ginevra.
Nel 1959 la conferenza di Parigi affrontò per la prima volta il tema del disarmo nucleare.

L’Unione Sovietica

L'Unione Sovietica era uscita vittoriosa dal terribile conflitto con la Germania. Tuttavia, al termine del conflitto, il Paese era devastato. La ricostruzio­ne richiedeva uno sforzo titanico.
Il Partito comunista dell'Unione Sovietica (PCUS), era ormai ridotto a un apparato rigido e fortemente gerarchizzato. La cosiddetta nomenklatura, cioè l'insieme dei funzionari di partito, controllava il Paese eseguendo le direttive dei vertici, senza nessuna flessibilità. Dal punto di vista economico, un tale appesantirsi della burocrazia centralizzata aveva costi ingenti e produceva una notevole mancanza di iniziativa, oltre che una radicata inefficienza.
Con il varo del quarto piano quinquennale (1946-1950), l'economia sovietica fece progressi significativi. Vennero privilegiate l'industria pesante e la ricerca nel settore militare, mentre la produzione agricola puntava più sulla quantità che sulla qualità. La produzione nel settore agricolo crebbe, e aumentò di nove volte in quello industriale. Lo  svilup­po produttivo non corrispose tuttavia a un miglioramento degli standard di vita della popolazione. Nel settore agricolo vigeva la prassi dell'acquisto delle derrate ali­mentari da parte dello Stato, che imponeva prezzi fissi. Lo scopo era naturalmen­te quello di assicurare prezzi di vendita alla portata delle masse, ma nei fatti ciò pe­nalizzava la ricerca della qualità. Restava insoddisfatto l'enorme fabbisogno interno, compensato in parte da una politica di importazione a prezzi bassi dai Paesi amici.
Un notevole svi­luppo aveva interessato l'industria di ricerca e tecnologia spaziale. Questo orientamento accentuava le contraddizioni dell'economia sovietica: l'URSS poteva realiz­zare tecnologie sofisticatissime, in grado di competere con quelle americane, ma non sapeva fornire ai suoi cittadini i generi di primissima necessità.

L'Europa centro-orientale

Tra il 1945 e il 1955 i Paesi europei soggetti all'egemonia dell'URSS subirono un processo di sovietizzazione forzata.
In Polonia, nel giugno del 1947, si svolsero le prime elezioni libere, che videro il successo del Partito operaio.
La Bulgaria era stata guidata da un governo antifascista fin dal 1944. Le elezioni del 1945 diedero la maggioranza al Fronte patriot­tico, in gran parte costituito da comunisti. La monarchia venne abolita con un refe­rendum. Progressivamente il Partito comunista si liberò delle altre forze della coalizione e im­pose un regime a partito unico.
In Ungheria aveva ottenuto una forte maggioranza il Parti­to dei piccoli proprietari, che aveva costituito un Fronte nazionale ungherese insie­me a comunisti e socialisti. Si istituì dunque un governo di coalizione e venne così proclamata la repubblica. Nel 1953 Mosca decise di interve­nire per moderare gli eccessi ungheresi, ponendo a capo del governo il moderato Imre Nagy che intraprese una politica di riforme tese a smussare gli eccessi delle collettivizzazioni, restituendo parte delle terre confiscate ai contadini e garantendo una certa libertà di espressione politica e religiosa.
In Romania e in Albania il processo di "sovietizzazione" politica fu più lineare.
In Romania, infatti, si svolsero nel novembre del 1946 le elezioni dell'Assemblea costituente.
In Albania nel 1946 venne proclama­ta la Repubblica popolare.
In Cecoslovacchia nel 1946 i governi socialisti e comunisti avviarono una politica di riforme economiche indirizzate verso la nazionalizzazione della produzione. Il governo a maggioranza comunista en­trò in crisi nel 1948, in seguito alla discussione sull'accettazione del Piano Marshall. Si andò a nuo­ve elezioni in un clima avvelenato e con un'unica lista predisposta dal Partito co­munista. La scontata vittoria dei comunisti consentì la trasformazione del Paese in una democrazia popolare imponendo un rigido regime stalinista.
In Jugoslavia i comunisti del maresciallo Tito inaugurarono una politica definita dai russi "deviazio­nista", tentando l'esperimento di una "via nazionale al comunismo" e mantenen­dosi su posizioni non allineate a quelle sovietiche ed equidistanti rispetto alle due grandi potenze che egemonizzavano la politica mondiale.


La svolta di Kruscev in Unione Sovietica e le conseguenze nei Paesi dell’Est europeo

A partire dalla metà degli anni Cinquanta, la tensione internazionale sembrò co­noscere una sensibile attenuazione. Truman e Stalin, erano usciti di scena. Truman non era più presidente dal gennaio 1953. Stalin era morto nel marzo del 1953.
In URSS la lotta per  la successione era stata aspra e senza esclusione di colpi. Dopo un periodo di interregno, assunse la guida del Paese Nikita Sergeevic Kruscev (pronuncia: crusciof) Egli appariva come una figura nuova, più aperta al mondo esterno, buon comunicatore e attento ai delicati equilibri sia interni sia internazionali. Alcune sue decisioni furono senz'altro deter­minanti per un miglioramento delle relazioni internazionali. Egli riconobbe l'indipendenza e la neutralità dell'Austria e giunse allo scioglimento, nell'aprile del 1956, del Cominform, uno dei sim­boli della "guerra fredda".
In altri casi tuttavia, le scelte del premier sovietico portarono a un acuirsi delle tensioni internazionali. All'interno del Paese, Kruscev decretò la fine del sistema delle "grandi purghe"  e pronunciò un'inequivocabile condanna dei crimini staliniani.
Il leader sovietico esponeva la teo­ria della "coesistenza pacifica" e cioè il progetto di una competizione pacifica fra i due modelli, liberaldemocratico e socialista, sen­za il ricorso a strategie militari.
Le dichiarazioni di Kruscev non portarono a significative trasformazioni del sistema politico ed economico sovietico. Sul piano economico, qualche effetto positi­ve si ebbe con la concessione di una maggiore autonomia e responsabilità gestiona­le alle aziende agricole. Analogamente, nei settori industriali si procedette a una timida modernizzazione degli impianti. L’idea di soddisfare le esigenze primarie consentì un discreto miglioramento delle condizioni di vita in URSS.
Nel giugno del 1956, in Polonia, uno sciopero di massa assunse ben presto il carattere di una violenta rivolta antisovietica.
In Ungheria, durante lo stesso anno, si susseguirono agitazioni studente­sche e operaie. Veniva richiesta la piena concessione delle libertà civili e l'in­dipendenza dall'URSS. A questo punto i membri del Partito comunista chiesero l'intervento dell'Armata rossa. Il 24 ottobre i carri armati sovietici entravano a Budapest, mentre la protesta di­lagava in tutto il Paese. Le truppe sovietiche furono costrette il 29 ad abbando­nare Budapest. L’Ungheria sembrava avere raggiunto finalmente l'indipendenza. Tuttavia il governo arrivò al punto di proclamare l'uscita dal Patto di Varsavia. Il 3 novembre l'Armata Rossa stringeva d'assedio la capitale. La resistenza ungherese venne sanguinosamente stroncata.
Il processo di destalinizzazione avviato da Kruscev non comportò affatto un allenta­mento del controllo sui Paesi satelliti dell’est europeo.
Anche i tentativi di distensione verso l'Occidente furono spesso deludenti. Un viaggio in USA di Kru­scev sembrò inaugurare una fase di dialo­go fra le due superpotenze, ma il contatto non produsse alcun reale cambiamento. Anzi, proprio a seguito di un incontro con il nuovo presidente John F. Kennedy , fu lo stesso Kruscev a provocare un inasprimento della situazione in Germania. Un'altra causa di forte tensione era la questione relativa alle instal­lazioni missilistiche sovietiche sull'isola di Cuba.
A partire dalla fine degli anni Cinquanta anche i rapporti tra URSS e Cina andarono deterio­randosi, fino alla rottura politica e diplomatica fra i due Paesi. I sovietici accusavano i cinesi di scarso rispetto del loro modello nella co­struzione del socialismo reale. Di contro il presidente Mao Zedong accusava l’URSS di aver imbrigliato e dissolto le spinte ri­voluzionarie della società sovietica. A dividere i due Paesi, tuttavia, erano anche questioni territoriali.

Gli Stati Uniti fra la fine della guerra e gli anni Cinquanta

Gli Stati Uniti uscivano dal conflitto mondiale pienamente consapevoli di esercita­re un predominio sul mondo occidentale. Le forti spese che i governi di guerra avevano dovuto sostenere non erano però ricompensate da un adeguato prelievo fiscale. Le elezioni del 1948 avevano portato alla conferma della presidenza di Truman.
La stabilità economica del Paese era una priorità nella politica del presidente. Egli riteneva necessario mantenersi fedele alle linee del New Deal roose­veltiano.
In politica estera il presidente Truman manifestò un aperto atteggiamento di ostilità contro l’ex alleato sovietico e la rottura diplomatica fra i due blocchi contrapposti si realizzò di fatto a partire dal 1947. Truman sviluppò una strategia finalizzata a ostacolare ovunque la diffusione dei regimi comunisti (la cosiddetta dottrina Truman).
Gli USA vivevano, nell'immediato dopoguerra, in un clima di mobilitazione anti­comunista. Per iniziati­va del senatore Joseph McCarthy, venne istituita una Commissione con po­teri speciali per indagare sui sospetti di attività antiamericane.
II maccartismo divenne una vera e propria "caccia alle streghe", che emarginò dalla vita sociale i pochi aderenti al Partito comunista statunitense.
La Commissione divenne inoltre uno strumento persecutorio. Si giunse anche a limitare la libera espressione delle opinioni. Molti scienziati e intellettuali furono sottoposti a inchie­sta. Il caso più dolorosamente emblematico fu quello della condanna a morte, nel 1953, dei coniugi Rosenberg, accusati di spionaggio filosovietico.
L’opera della Commissione venne interrotta due anni dopo. Intanto, a seguito delle elezioni del 1952, era di venuto presidente il generale Ei­senhower. Con la sua presidenza, le imprese furono age­volate dal punto di vista fiscale. Si ebbe un’ulteriore crescita della spesa pubblica, e anche un forte incremento dei consumi. Nella seconda metà degli an­ni Cinquanta gli USA erano un Paese prospero.
Durante il secondo mandato presidenziale di Eisenhower emersero una serie di pro­blemi fino ad allora trascurati. Anzitutto la questione dei neri americani, spesso co­stretti a vivere in un clima di forte segregazione. Essi non potevano godere del nuo­vo benessere sperimentato dal resto della società americana. I conflitti razziali divennero un elemento determinante di instabilità politico-sociale nel passaggio fra gli anni Cin­quanta e gli anni Sessanta. La parte fino ad allora emarginata della società statunitense cominciò dunque a organizzarsi in movimenti di protesta. Fra i leader più popolari e amati emerse la figura di Martin Luther King. L'apice della tensione razziale venne toccato nella cittadina di Lit­tle Rock, in Alabama, quando il governo americano dovette inviare l'esercito affinché i neri potessero accedere alle scuole pubbliche.

La guerra di Corea

La "guerra fredda" conobbe una fase particolarmente aspra con la guerra di Corea. La penisola coreana era stata divisa, lungo il 38° parallelo, in due Stati: la Corea del Nord, dove si era costituito un si­sterna comunista, e la Corea del Sud, dove vigeva un regime nazionalista a conservatore. La tensione fra i due Paesi si era manifestata lungo la frontiera fin dal 1948.
Il 25 giugno 1950 le forze armate nordcoreane varcarono il 38° pa­rallelo e penetrarono nella Corea del Sud. Il presi­dente americano Tru­man inviò forze armate americane a difesa del Paese amico. L'esercito americano respinse l'offensiva nordcoreana e si spinse fino al confine cinese. Ciò provocò l'intervento dell'esercito cinese. L'armistizio, firmato nel 1953, riconfermò la divisione lungo il confine del 38° parallelo.

La corsa allo spazio

Negli anni Cinquanta e Sessanta la ricerca scientifica e tecnologica compì enormi progressi. In quest’ottica va senz’altro considerata la conquista dello spazio.
La gara spaziale era stata avviata durante gli anni Cinquanta per dimostrare forza e superiorità tecnologica rispetto all'avversario.
L’URSS dimostrò una straordinaria capacità di sviluppo delle tecnologie. Nel 1957 i sovietici inviarono nello spazio lo Sputnik, il primo satellite artificiale. La medesima cosa fecero l'anno successivo gli Stati Uniti.
Nel 1961 il sovietico Jurij Gagarin fu il primo astronauta a navigare in orbita intor­no alla Terra a bordo della navicella Vostok.
Gli USA cercarono di colmare lo svantaggio intensificando gli sforzi e aumentando i finanziamenti all'agenzia governativa di ricerche spaziali, la NASA. Gli Usa vinsero la “gara spaziale” il 21 luglio del 1969, quando gli astronauti Neil Armstrong ed Edwin Aldrin, a bordo della navicella spaziale Apollo 11, raggiunsero la Luna e vi posero piede per la prima volta.

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