sabato 1 giugno 2013

Schopenhauer



Cenni biografici. Arthur Schopenhauer nacque a Danzica nel 1788. Ebbe un’educazione raffinata e poté viaggiare molto, imparando diverse lingue straniere. A Weimar frequentò il salotto letterario organizzato dalla madre e conobbe i migliori ingegni, come Goethe, gli Schegel, etc. Molti erano i suoi interessi; ma alla fine decise di laurearsi in filosofia, presso l'Università di Jena.
Grazie all'eredità lasciatagli dal padre, poté vivere di rendita e dedicarsi completamente allo studio e alla ricerca. Nel 1818 pubblicò il suo capolavoro più famoso, “Il mondo come volontà e rappresentazione”. Pensò quindi di dedicarsi all'insegnamento universitario e scelse Berlino, dove dominava la filosofia di Hegel: logicamente le sue lezioni non furono seguite da nessuno ed egli si trasferì a Francoforte, dove rimase per il resto della vita, continuando a studiare e pubblicare. Il successo arrivò molto tardi, con la pubblicazione di “Parerga e paralipomena”. Morì nel 1860.

Il mondo come volontà e rappresentazione. Il capolavoro del filosofo, del 1819, considera il mondo una rappresentazione. È un’idea tipica della filosofia moderna: da Cartesio in poi, i filosofi affermano che l’unica conoscenza certa è quella dentro la nostra coscienza, perché non possiamo uscire da essa. Per Schopenhauer dunque il mondo è solo una nostra rappresentazione. Ogni rappresentazione, ovviamente, ha due elementi: il soggetto e l’oggetto. Sbaglia dunque il materialismo, perché riduce tutto a oggetto; ma sbaglia anche l’idealismo perché riduce tutto a soggetto.

Il velo di Maya. Naturalmente il mondo, che è nostra rappresentazione, è fenomeno; ma non come l’aveva inteso Kant. Per Kant il fenomeno era una realtà, anzi l’unica realtà conoscibile. Per Schopenhauer invece il fenomeno è una specie di illusione, che nasconde la vera realtà delle cose. È come il “velo di Maya” del pensiero indiano. La vita è come un sogno, un’apparenza, proprio come affermavano grandi pensatori di tutti i tempi: i Veda, Platone, Shakespeare, Calderon de La Barca e così via.

La vera essenza: la Volontà. Ma, oltre all’illusione, esiste la realtà vera. Essa può essere raggiunta, a differenza del noumeno. L’uomo, che a differenza degli altri animali è un “animale metafisico”, può interrogarsi sulla vera essenza della vita, scrutando dentro se stesso. Tale essenza è la Volontà, un impulso fortissimo che spinge ad esistere, ad agire. Essa pervade tutto l’universo ed ogni fenomeno è una sua manifestazione.  
La Volontà è al di là dello spazio, del tempo, della causalità, in quanto al di là dei fenomeni. È anche inconscia perché la coscienza è solo una delle sue possibili manifestazioni: non è la nostra volontà cosciente, ma un impulso, presente anche nelle rocce e nei vegetali.  Essa è unica, perché non è legata ai singoli individui. È cieca, e senza scopo a parte se stessa. La Volontà vuole la Volontà.

Il dolore e la noia. Se la vita è volontà, la vita è anche dolore. Volere significa sentire la mancanza di qualcosa che si desidera, e dunque sentire un vuoto, che non può che portare sofferenza. L’uomo è il più sfortunato, perché in lui la Volontà è cosciente, consapevole. E, fra gli uomini, il genio è colui che soffre di più, proprio perché in lui la consapevolezza e la sensibilità è più alta.
Quello che chiamiamo gioia è solo cessazione momentanea del dolore, per lo scarico di una tensione. Ma ad esso segue un nuovo desiderio, e dunque nuovo dolore. Dunque il dolore è permanente, il piacere è momentaneo. Esiste del resto una terza condizione, che è la noia, che avviene quando non c’è desiderio o non si fa nulla.   
Come un pendolo, la vita umana oscilla tra il dolore e la noia.

Il pessimismo. Il pensiero di Schopenhauer è un pessimismo cosmico radicale: non solo la vita è male, il principio stesso dell’esistenza contiene il male. Il filosofo ovviamente è duramente polemico verso tutte le filosofie ottimistiche e verso le religioni, che vedono il mondo come un meccanismo perfetto, governato da Dio o da un altro principio. È una visione consolatrice, certamente; ma del tutto falsa. In particolare, Schopenhauer non può credere in Dio, perché non c’è spazio per un creatore buono e razionale in un mondo che è male e caos.

L’amore. La vita è dolore anche perché è guerra spietata di tutti contro tutti, in quanto ognuno è spinto alla propria autoconservazione. Alla natura interessa solo la sopravvivenza della specie, e quindi essa inganna gli uomini con l’amore; Cupido è  “il signore degli dèi e degli uomini” perché dietro a lui sta il freddo calcolo della specie. L’atto procreativo, secondo Schopenhauer, è vissuto con vergogna non per motivi religiosi, ma perché commette il reato più grave: il far nascere nuove creature condannate a soffrire.
L'amore per lui è “due infelicità che si incontrano, due infelicità che si scambiano ed una terza infelicità che si prepara!”.

La storia. Schopenhauer critica ogni storicismo. Se andiamo oltre le apparenze, scopriamo infatti che “non vi è nulla di nuovo sotto il sole”. La storia dell'uomo è sempre uguale: quello che cambia non è l'essenza delle cose, ma solo la loro facciata superficiale. L’umanità si illude, perché spera di eliminare il dolore cambiando le condizioni o cercando il progresso. Ma è un inganno. L’unico vero compito della storia è rendere l’uomo consapevole del suo vero destino.

La liberazione dalla Volontà. Quando l’uomo capisce che il mondo è Volontà, è pronto per la salvezza, che coincide con il cessare di volere. Liberarsi dalla Volontà – e dunque dal dolore – può avvenire in tanti modi: suicidio, arte, morale, ascesi.
In realtà egli rifiuta il suicidio, perché esso resta un atto della Volontà, e per giunta esso sopprime solo un individuo, una singola manifestazione della Volontà. È dunque un atto inutile.
In quanto all'arte, essa è conoscenza pura disinteressata che si rivolge alle idee, ossia alle forme eterne. Essa perciò sottrae l’uomo dal giro vizioso dei desideri. Tra le arti spicca la tragedia, che esprime meglio il dolore e l’affanno, e la musica, che rivela la volontà a se stessa. Però è una liberazione momentanea, un conforto temporaneo.
La morale nasce da un sentimento di pietà, in cui noi usciamo da noi stessi, compatiamo il nostro prossimo e giungiamo ad identificarci col suo tormento. La pietà si concretizza in due virtù: la giustizia (che ha un carattere negativo, in quanto consiste nel non fare il male) e la carità (che è la volontà positiva di fare del bene). Ma anche se è una vittoria sull'egoismo, è una vittoria voluta, dunque dipendente dalla volontà.
La liberazione totale dalla Volontà si potrebbe ottenere completamente solo con l’ascesi. Con l’ascesi l’individuo, cessa di volere la vita. Il primo passo verso l’ascesi è la castità, che libera dall'impulso alla propagazione della specie. Allo stesso scopo tendono la povertà, il sacrificio, il digiuno, e così via. Qualora questo cammino fosse compiuto, l’uomo sarebbe davvero libero. La volontà diventerebbe nolontà, e l’uomo giungerebbe al nulla, in un oceano di pace dove si dissolverebbe l’io. Ma forse è un obiettivo impossibile da raggiungere: dal momento che il mondo continua a esistere, dal momento noi continuiamo ad esistere, la Volontà non è stata ancora vinta. 

Pinocchio: un copione

  SCENA N° 1 Mastro Ciliegia     Cantastorie   Questa è la storia di un burattino che vuole essere un vero bambino Ma è bugi...