Neutralisti ed interventisti. Allo scoppio della guerra
l’Italia si dichiara neutrale; ciò è possibile in quanto la Triplice Alleanza
aveva solo carattere difensivo. In seguito, tuttavia, l’opinione pubblica si
divide tra chi non vuole la guerra (neutralisti) e chi vuole invece
parteciparvi (interventisti).
Gli interventisti sono la
minoranza, ma sono molto attivi. Mossi da ideologie diverse, sono sostenute dal
re, che desidera affermare il proprio prestigio, e dagli industriali, che
vedono nel conflitto un’ottima possibilità di affari. Fra essi vi sono:
- gli irredentisti e i radicali, che concepiscono il conflitto come l’ultima guerra risorgimentale contro l’Austria per la liberazione di Trento e Trieste;
- i nazionalisti, che ritengono che la guerra sia un valore e possa conferire importanza alla nazione;
- Benito Mussolini, che dopo essere stato espulso dal PSI fonda un nuovo quotidiano, «Il Popolo d’Italia», attraverso cui predica la forza rivoluzionaria della guerra.
I neutralisti sono la maggioranza
del paese. Sono formati soprattutto da contadini e operai, che non intendono rimanere
vittime del terribile conflitto.
Sono neutralisti:
- i socialisti, fedeli alla tradizione pacifista del partito, e convinti che la guerra sia un affare dei borghesi capitalisti;
- i cattolici, che rifiutano la guerra per motivi religiosi (il papa Benedetto XV la definì “inutile strage”);
- Giolitti, che teme che la guerra possa avere nuocere alla vita politica.
Il movimento neutralista non
riesce tuttavia ad imporsi. Due eventi determinano l’entrata in guerra
dell’Italia: le manifestazioni di piazza del maggio 1915 (le «radiose
giornate») e la volontà del re e del capo del Governo, che già da tempo hanno
preso contatti con i paesi dell’Intesa. Salandra e il ministro degli esteri
Sonnino sottoscrivono, insieme con Francia, Inghilterra e Russia, il Patto di
Londra, nel quale si prevede che, in caso di vittoria, l’Italia ottenga il
Trentino, il Sud Tirolo, la Venezia-Giulia, la penisola istriana (esclusa la
città di Fiume), parte della Dalmazia e le isole adriatiche. Il Parlamento, a
maggioranza neutralista, si oppone, costringendo Salandra alle dimissioni, ma
il re le respinge, obbligandolo a concedere pieni poteri al governo.
Il fronte italiano. Il 23 maggio 1915 l’Italia
dichiara guerra all’Austria. Il comando dell’esercito viene affidato al
generale Luigi Cadorna. Cadorna sferra quattro attacchi — le prime quattro
battaglie dell’Isonzo — senza alcun successo e con un numero elevatissimo di morti.
Nel giugno 1916 l’esercito
austriaco passa al contrattacco («spedizione punitiva»), cogliendo in un primo
tempo gli italiani di sorpresa. Nel 1916 vengono poi combattute altre cinque
battaglie dell’Isonzo, tutte sanguinose ma senza risultati.
Il 1917 è l’anno più difficile
della guerra; i soldati e la popolazione sono stanchi. Il comando tedesco
decide di rafforzare l’esercito e attacca le truppe italiane nei pressi di
Caporetto. I soldati italiani sono costretti alla ritirata, lasciando in mano
al nemico un’enorme porzione di territorio (fino al Piave). Cadorna addossa le
colpe ai suoi uomini, ma l’errore è stato del comando, sicché è sostituito da Armando
Diaz.
Nel 1918, proprio con le
battaglie del Piave e dell’altopiano di Asiago, iniziò la rimonta italiana, che
si concluse con il successo definitivo di Vittorio Veneto. Il 3 novembre,
mentre i soldati italiani entravano a Trento e Trieste, venne firmato l’armistizio
con l’Austria. Dopo 41 mesi la guerra era finita; essa era costata all’Italia
600.000 morti e un milione tra mutilati e feriti.