lunedì 10 giugno 2013

La prima guerra mondiale (seconda parte)


Neutralisti ed interventisti. Allo scoppio della guerra l’Italia si dichiara neutrale; ciò è possibile in quanto la Triplice Alleanza aveva solo carattere difensivo. In seguito, tuttavia, l’opinione pubblica si divide tra chi non vuole la guerra (neutralisti) e chi vuole invece parteciparvi (interventisti).
Gli interventisti sono la minoranza, ma sono molto attivi. Mossi da ideologie diverse, sono sostenute dal re, che desidera affermare il proprio prestigio, e dagli industriali, che vedono nel conflitto un’ottima possibilità di affari. Fra essi vi sono:
  • gli irredentisti e i radicali, che concepiscono il conflitto come l’ultima guerra risorgimentale contro l’Austria per la liberazione di Trento e Trieste;
  • i nazionalisti, che ritengono che la guerra sia un valore e possa conferire importanza alla nazione;
  • Benito Mussolini, che dopo essere stato espulso dal PSI fonda un nuovo quotidiano, «Il Popolo d’Italia», attraverso cui predica la forza rivoluzionaria della guerra.

I neutralisti sono la maggioranza del paese. Sono formati soprattutto da contadini e operai, che non intendono rimanere vittime del terribile conflitto.
Sono neutralisti:
  • i socialisti, fedeli alla tradizione pacifista del partito, e convinti che la guerra sia un affare dei borghesi capitalisti;
  • i cattolici, che rifiutano la guerra per motivi religiosi (il papa Benedetto XV la definì “inutile strage”);
  • Giolitti, che teme che la guerra possa avere nuocere alla vita politica.


Il movimento neutralista non riesce tuttavia ad imporsi. Due eventi determinano l’entrata in guerra dell’Italia: le manifestazioni di piazza del maggio 1915 (le «radiose giornate») e la volontà del re e del capo del Governo, che già da tempo hanno preso contatti con i paesi dell’Intesa. Salandra e il ministro degli esteri Sonnino sottoscrivono, insieme con Francia, Inghilterra e Russia, il Patto di Londra, nel quale si prevede che, in caso di vittoria, l’Italia ottenga il Trentino, il Sud Tirolo, la Venezia-Giulia, la penisola istriana (esclusa la città di Fiume), parte della Dalmazia e le isole adriatiche. Il Parlamento, a maggioranza neutralista, si oppone, costringendo Salandra alle dimissioni, ma il re le respinge, obbligandolo a concedere pieni poteri al governo.


Il fronte italiano. Il 23 maggio 1915 l’Italia dichiara guerra all’Austria. Il comando dell’esercito viene affidato al generale Luigi Cadorna. Cadorna sferra quattro attacchi — le prime quattro battaglie dell’Isonzo — senza alcun successo e con un numero elevatissimo di morti.
Nel giugno 1916 l’esercito austriaco passa al contrattacco («spedizione punitiva»), cogliendo in un primo tempo gli italiani di sorpresa. Nel 1916 vengono poi combattute altre cinque battaglie dell’Isonzo, tutte sanguinose ma senza risultati.
Il 1917 è l’anno più difficile della guerra; i soldati e la popolazione sono stanchi. Il comando tedesco decide di rafforzare l’esercito e attacca le truppe italiane nei pressi di Caporetto. I soldati italiani sono costretti alla ritirata, lasciando in mano al nemico un’enorme porzione di territorio (fino al Piave). Cadorna addossa le colpe ai suoi uomini, ma l’errore è stato del comando, sicché è sostituito da Armando Diaz.

Nel 1918, proprio con le battaglie del Piave e dell’altopiano di Asiago, iniziò la rimonta italiana, che si concluse con il successo definitivo di Vittorio Veneto. Il 3 novembre, mentre i soldati italiani entravano a Trento e Trieste, venne firmato l’armistizio con l’Austria. Dopo 41 mesi la guerra era finita; essa era costata all’Italia 600.000 morti e un milione tra mutilati e feriti.

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