giovedì 23 maggio 2013

Il mondo bipolare


L’Europa dei blocchi

Alla fine del secondo conflitto mondiale l'Europa e il mondo si trovarono divisi in due blocchi contrapposti: quello occidentale, con a capo gli USA, e quello orientale, controllato dall'URSS. Fu l'ex premier inglese Winston Churchill a descrivere per pri­mo il clima di ten­sione creatosi in Europa dopo la guerra. Egli parlò di una "cortina di ferro" che separava l’Oriente europeo dal mon­do libero ed espresse la necessità di combattere contro l'avanzata del comunismo.
Le due superpotenze proponevano modelli di società, di economia e di cultura an­titetici. Gli USA e i Paesi loro alleati erano retti da democrazie parlamentari; l’URSS e i Pae­si comunisti erano Repubbliche popolari a partito unico.
La contrapposizione tra i due blocchi assunse la denominazione di "guerra fredda": uno scontro indiretto, in cui i due contendenti ricorrevano ai mezzi più sottili dello spionaggio, della propaganda, della diplomazia; l’arma forse più micidiale in questa fase fu la minaccia di una guerra nucleare.
L’elemento distintivo del periodo fu la cosiddetta "corsa agli armamenti". Le due grandi potenze tesero ad ampliare in ma­niera esponenziale i loro arsenali militari a scopo offensivo e difensivo.
Nel 1949 l’URSS fece esplodere la sua prima bomba atomica, cosa che ebbe un drammatico contraccolpo psicologico negli USA.
La linea di demarcazione tra i due blocchi era in Europa abbastanza netta e spacca­va in due il continente.
Le crisi diplomatiche furono frequenti e spesso ci si avvicinò a un conflitto aperto. Il problema del destino politico della Germania rappresentava per l'Europa un nodo cruciale. Dal 1947 la parte ovest di Berlino, sotto l’amministrazione di Francia, Gran Bretagna e USA, era stata integrata nel sistema politico-economico occidentale.
Nel 1948 i sovietici reagirono a tale politica con il blocco di Berlino, impedendo ogni comunicazione fra la zona ovest della città e i Paesi occidentali. Il blocco fu tolto solo nel 1949, dopo il suo fallimento provocato dal ponte aereo di rifornimento organizzato dagli USA.
Nel 1949, a seguito degli accordi di Washington, gli occidentali concessero l'autonomia ai tedeschi, costituendo la Repubblica Federale Tedesca. I so­vietici risposero con la creazione della Repubblica Democratica Tedesca. La città di Berlino rimase divisa in due settori, quello occidentale e quello orientale. Per impedire le frequenti fughe dei tedeschi orientali in Oc­cidente, nell’agosto del 1961 venne eretto il cosiddetto muro di Berlino, che divenne da allora il simbolo della "guerra fredda".
La situazione europea, nonostante le lacerazioni, appariva stabile. Alcune aree pro­blematiche rappresentavano un pericolo facilmente controllabile e nelle zone in cui si sviluppavano movimenti di opposizione all'ordinamento politi­co imposto, i due schieramenti cercavano di reagire con diplomazia, evitando l'uso diretto della forza.
Gli USA avvertivano l'esigenza di limitare l'espansionismo sovietico e contenerne la minaccia entro i confini orientali d'Europa. Secondo questa prospettiva si sviluppò la dottrina Truman con la richiesta di aiuti militari a favore delle forze anti­comuniste. Più diffuso e robusto doveva essere il sostegno economico per quei Paesi che volevano difendere le istituzioni li­beral-democratiche dalla minaccia comunista. Nel 1947 gli USA organizzarono il Piano Marshall che prevedeva l'intervento economico americano a sostegno dei Paesi europei devastati dalla guerra, allo scopo di avviarne la ricostruzione.
Il legame tra gli USA e gli alleati europei si concretizzò, nell'aprile del 1949, con la firma del Patto atlantico, con cui si costituiva un'alleanza militate offensiva e di­fensiva antisovietica (NATO).
L'URSS reagì dando vita al Patto di Varsavia, un'alleanza militate tra i Paesi comunisti.
I due blocchi finirono comunque per realizzare una sorta di "coesistenza paci­fica". I primi segni del "disgelo" fra le due superpotenze furono rappresentati dal trattato di Vienna del 1955, con cui le truppe sovietiche lasciarono l'Austria, e la conferenza di Ginevra.
Nel 1959 la conferenza di Parigi affrontò per la prima volta il tema del disarmo nucleare.

L’Unione Sovietica

L'Unione Sovietica era uscita vittoriosa dal terribile conflitto con la Germania. Tuttavia, al termine del conflitto, il Paese era devastato. La ricostruzio­ne richiedeva uno sforzo titanico.
Il Partito comunista dell'Unione Sovietica (PCUS), era ormai ridotto a un apparato rigido e fortemente gerarchizzato. La cosiddetta nomenklatura, cioè l'insieme dei funzionari di partito, controllava il Paese eseguendo le direttive dei vertici, senza nessuna flessibilità. Dal punto di vista economico, un tale appesantirsi della burocrazia centralizzata aveva costi ingenti e produceva una notevole mancanza di iniziativa, oltre che una radicata inefficienza.
Con il varo del quarto piano quinquennale (1946-1950), l'economia sovietica fece progressi significativi. Vennero privilegiate l'industria pesante e la ricerca nel settore militare, mentre la produzione agricola puntava più sulla quantità che sulla qualità. La produzione nel settore agricolo crebbe, e aumentò di nove volte in quello industriale. Lo  svilup­po produttivo non corrispose tuttavia a un miglioramento degli standard di vita della popolazione. Nel settore agricolo vigeva la prassi dell'acquisto delle derrate ali­mentari da parte dello Stato, che imponeva prezzi fissi. Lo scopo era naturalmen­te quello di assicurare prezzi di vendita alla portata delle masse, ma nei fatti ciò pe­nalizzava la ricerca della qualità. Restava insoddisfatto l'enorme fabbisogno interno, compensato in parte da una politica di importazione a prezzi bassi dai Paesi amici.
Un notevole svi­luppo aveva interessato l'industria di ricerca e tecnologia spaziale. Questo orientamento accentuava le contraddizioni dell'economia sovietica: l'URSS poteva realiz­zare tecnologie sofisticatissime, in grado di competere con quelle americane, ma non sapeva fornire ai suoi cittadini i generi di primissima necessità.

L'Europa centro-orientale

Tra il 1945 e il 1955 i Paesi europei soggetti all'egemonia dell'URSS subirono un processo di sovietizzazione forzata.
In Polonia, nel giugno del 1947, si svolsero le prime elezioni libere, che videro il successo del Partito operaio.
La Bulgaria era stata guidata da un governo antifascista fin dal 1944. Le elezioni del 1945 diedero la maggioranza al Fronte patriot­tico, in gran parte costituito da comunisti. La monarchia venne abolita con un refe­rendum. Progressivamente il Partito comunista si liberò delle altre forze della coalizione e im­pose un regime a partito unico.
In Ungheria aveva ottenuto una forte maggioranza il Parti­to dei piccoli proprietari, che aveva costituito un Fronte nazionale ungherese insie­me a comunisti e socialisti. Si istituì dunque un governo di coalizione e venne così proclamata la repubblica. Nel 1953 Mosca decise di interve­nire per moderare gli eccessi ungheresi, ponendo a capo del governo il moderato Imre Nagy che intraprese una politica di riforme tese a smussare gli eccessi delle collettivizzazioni, restituendo parte delle terre confiscate ai contadini e garantendo una certa libertà di espressione politica e religiosa.
In Romania e in Albania il processo di "sovietizzazione" politica fu più lineare.
In Romania, infatti, si svolsero nel novembre del 1946 le elezioni dell'Assemblea costituente.
In Albania nel 1946 venne proclama­ta la Repubblica popolare.
In Cecoslovacchia nel 1946 i governi socialisti e comunisti avviarono una politica di riforme economiche indirizzate verso la nazionalizzazione della produzione. Il governo a maggioranza comunista en­trò in crisi nel 1948, in seguito alla discussione sull'accettazione del Piano Marshall. Si andò a nuo­ve elezioni in un clima avvelenato e con un'unica lista predisposta dal Partito co­munista. La scontata vittoria dei comunisti consentì la trasformazione del Paese in una democrazia popolare imponendo un rigido regime stalinista.
In Jugoslavia i comunisti del maresciallo Tito inaugurarono una politica definita dai russi "deviazio­nista", tentando l'esperimento di una "via nazionale al comunismo" e mantenen­dosi su posizioni non allineate a quelle sovietiche ed equidistanti rispetto alle due grandi potenze che egemonizzavano la politica mondiale.


La svolta di Kruscev in Unione Sovietica e le conseguenze nei Paesi dell’Est europeo

A partire dalla metà degli anni Cinquanta, la tensione internazionale sembrò co­noscere una sensibile attenuazione. Truman e Stalin, erano usciti di scena. Truman non era più presidente dal gennaio 1953. Stalin era morto nel marzo del 1953.
In URSS la lotta per  la successione era stata aspra e senza esclusione di colpi. Dopo un periodo di interregno, assunse la guida del Paese Nikita Sergeevic Kruscev (pronuncia: crusciof) Egli appariva come una figura nuova, più aperta al mondo esterno, buon comunicatore e attento ai delicati equilibri sia interni sia internazionali. Alcune sue decisioni furono senz'altro deter­minanti per un miglioramento delle relazioni internazionali. Egli riconobbe l'indipendenza e la neutralità dell'Austria e giunse allo scioglimento, nell'aprile del 1956, del Cominform, uno dei sim­boli della "guerra fredda".
In altri casi tuttavia, le scelte del premier sovietico portarono a un acuirsi delle tensioni internazionali. All'interno del Paese, Kruscev decretò la fine del sistema delle "grandi purghe"  e pronunciò un'inequivocabile condanna dei crimini staliniani.
Il leader sovietico esponeva la teo­ria della "coesistenza pacifica" e cioè il progetto di una competizione pacifica fra i due modelli, liberaldemocratico e socialista, sen­za il ricorso a strategie militari.
Le dichiarazioni di Kruscev non portarono a significative trasformazioni del sistema politico ed economico sovietico. Sul piano economico, qualche effetto positi­ve si ebbe con la concessione di una maggiore autonomia e responsabilità gestiona­le alle aziende agricole. Analogamente, nei settori industriali si procedette a una timida modernizzazione degli impianti. L’idea di soddisfare le esigenze primarie consentì un discreto miglioramento delle condizioni di vita in URSS.
Nel giugno del 1956, in Polonia, uno sciopero di massa assunse ben presto il carattere di una violenta rivolta antisovietica.
In Ungheria, durante lo stesso anno, si susseguirono agitazioni studente­sche e operaie. Veniva richiesta la piena concessione delle libertà civili e l'in­dipendenza dall'URSS. A questo punto i membri del Partito comunista chiesero l'intervento dell'Armata rossa. Il 24 ottobre i carri armati sovietici entravano a Budapest, mentre la protesta di­lagava in tutto il Paese. Le truppe sovietiche furono costrette il 29 ad abbando­nare Budapest. L’Ungheria sembrava avere raggiunto finalmente l'indipendenza. Tuttavia il governo arrivò al punto di proclamare l'uscita dal Patto di Varsavia. Il 3 novembre l'Armata Rossa stringeva d'assedio la capitale. La resistenza ungherese venne sanguinosamente stroncata.
Il processo di destalinizzazione avviato da Kruscev non comportò affatto un allenta­mento del controllo sui Paesi satelliti dell’est europeo.
Anche i tentativi di distensione verso l'Occidente furono spesso deludenti. Un viaggio in USA di Kru­scev sembrò inaugurare una fase di dialo­go fra le due superpotenze, ma il contatto non produsse alcun reale cambiamento. Anzi, proprio a seguito di un incontro con il nuovo presidente John F. Kennedy , fu lo stesso Kruscev a provocare un inasprimento della situazione in Germania. Un'altra causa di forte tensione era la questione relativa alle instal­lazioni missilistiche sovietiche sull'isola di Cuba.
A partire dalla fine degli anni Cinquanta anche i rapporti tra URSS e Cina andarono deterio­randosi, fino alla rottura politica e diplomatica fra i due Paesi. I sovietici accusavano i cinesi di scarso rispetto del loro modello nella co­struzione del socialismo reale. Di contro il presidente Mao Zedong accusava l’URSS di aver imbrigliato e dissolto le spinte ri­voluzionarie della società sovietica. A dividere i due Paesi, tuttavia, erano anche questioni territoriali.

Gli Stati Uniti fra la fine della guerra e gli anni Cinquanta

Gli Stati Uniti uscivano dal conflitto mondiale pienamente consapevoli di esercita­re un predominio sul mondo occidentale. Le forti spese che i governi di guerra avevano dovuto sostenere non erano però ricompensate da un adeguato prelievo fiscale. Le elezioni del 1948 avevano portato alla conferma della presidenza di Truman.
La stabilità economica del Paese era una priorità nella politica del presidente. Egli riteneva necessario mantenersi fedele alle linee del New Deal roose­veltiano.
In politica estera il presidente Truman manifestò un aperto atteggiamento di ostilità contro l’ex alleato sovietico e la rottura diplomatica fra i due blocchi contrapposti si realizzò di fatto a partire dal 1947. Truman sviluppò una strategia finalizzata a ostacolare ovunque la diffusione dei regimi comunisti (la cosiddetta dottrina Truman).
Gli USA vivevano, nell'immediato dopoguerra, in un clima di mobilitazione anti­comunista. Per iniziati­va del senatore Joseph McCarthy, venne istituita una Commissione con po­teri speciali per indagare sui sospetti di attività antiamericane.
II maccartismo divenne una vera e propria "caccia alle streghe", che emarginò dalla vita sociale i pochi aderenti al Partito comunista statunitense.
La Commissione divenne inoltre uno strumento persecutorio. Si giunse anche a limitare la libera espressione delle opinioni. Molti scienziati e intellettuali furono sottoposti a inchie­sta. Il caso più dolorosamente emblematico fu quello della condanna a morte, nel 1953, dei coniugi Rosenberg, accusati di spionaggio filosovietico.
L’opera della Commissione venne interrotta due anni dopo. Intanto, a seguito delle elezioni del 1952, era di venuto presidente il generale Ei­senhower. Con la sua presidenza, le imprese furono age­volate dal punto di vista fiscale. Si ebbe un’ulteriore crescita della spesa pubblica, e anche un forte incremento dei consumi. Nella seconda metà degli an­ni Cinquanta gli USA erano un Paese prospero.
Durante il secondo mandato presidenziale di Eisenhower emersero una serie di pro­blemi fino ad allora trascurati. Anzitutto la questione dei neri americani, spesso co­stretti a vivere in un clima di forte segregazione. Essi non potevano godere del nuo­vo benessere sperimentato dal resto della società americana. I conflitti razziali divennero un elemento determinante di instabilità politico-sociale nel passaggio fra gli anni Cin­quanta e gli anni Sessanta. La parte fino ad allora emarginata della società statunitense cominciò dunque a organizzarsi in movimenti di protesta. Fra i leader più popolari e amati emerse la figura di Martin Luther King. L'apice della tensione razziale venne toccato nella cittadina di Lit­tle Rock, in Alabama, quando il governo americano dovette inviare l'esercito affinché i neri potessero accedere alle scuole pubbliche.

La guerra di Corea

La "guerra fredda" conobbe una fase particolarmente aspra con la guerra di Corea. La penisola coreana era stata divisa, lungo il 38° parallelo, in due Stati: la Corea del Nord, dove si era costituito un si­sterna comunista, e la Corea del Sud, dove vigeva un regime nazionalista a conservatore. La tensione fra i due Paesi si era manifestata lungo la frontiera fin dal 1948.
Il 25 giugno 1950 le forze armate nordcoreane varcarono il 38° pa­rallelo e penetrarono nella Corea del Sud. Il presi­dente americano Tru­man inviò forze armate americane a difesa del Paese amico. L'esercito americano respinse l'offensiva nordcoreana e si spinse fino al confine cinese. Ciò provocò l'intervento dell'esercito cinese. L'armistizio, firmato nel 1953, riconfermò la divisione lungo il confine del 38° parallelo.

La corsa allo spazio

Negli anni Cinquanta e Sessanta la ricerca scientifica e tecnologica compì enormi progressi. In quest’ottica va senz’altro considerata la conquista dello spazio.
La gara spaziale era stata avviata durante gli anni Cinquanta per dimostrare forza e superiorità tecnologica rispetto all'avversario.
L’URSS dimostrò una straordinaria capacità di sviluppo delle tecnologie. Nel 1957 i sovietici inviarono nello spazio lo Sputnik, il primo satellite artificiale. La medesima cosa fecero l'anno successivo gli Stati Uniti.
Nel 1961 il sovietico Jurij Gagarin fu il primo astronauta a navigare in orbita intor­no alla Terra a bordo della navicella Vostok.
Gli USA cercarono di colmare lo svantaggio intensificando gli sforzi e aumentando i finanziamenti all'agenzia governativa di ricerche spaziali, la NASA. Gli Usa vinsero la “gara spaziale” il 21 luglio del 1969, quando gli astronauti Neil Armstrong ed Edwin Aldrin, a bordo della navicella spaziale Apollo 11, raggiunsero la Luna e vi posero piede per la prima volta.

Pinocchio: un copione

  SCENA N° 1 Mastro Ciliegia     Cantastorie   Questa è la storia di un burattino che vuole essere un vero bambino Ma è bugi...