L’Europa dei blocchi
Alla fine del secondo conflitto mondiale
l'Europa e il mondo si trovarono divisi in due blocchi contrapposti: quello occidentale, con a capo gli USA, e
quello orientale, controllato dall'URSS.
Fu l'ex premier inglese Winston
Churchill a descrivere per primo il clima di tensione creatosi in Europa dopo
la guerra. Egli parlò di una "cortina
di ferro" che separava l’Oriente europeo dal mondo libero ed espresse
la necessità di combattere contro l'avanzata del comunismo.
Le due superpotenze proponevano modelli di
società, di economia e di cultura antitetici. Gli USA e i Paesi loro alleati
erano retti da democrazie parlamentari; l’URSS e i Paesi comunisti erano
Repubbliche popolari a partito unico.
La contrapposizione tra i due blocchi assunse
la denominazione di "guerra fredda":
uno scontro indiretto, in cui i due
contendenti ricorrevano ai mezzi più sottili dello spionaggio, della
propaganda, della diplomazia; l’arma forse più micidiale in questa fase fu la minaccia di una guerra nucleare.
L’elemento distintivo del periodo fu la
cosiddetta "corsa agli armamenti".
Le due grandi potenze tesero ad ampliare in maniera esponenziale i loro
arsenali militari a scopo offensivo e difensivo.
Nel 1949 l’URSS fece esplodere la sua prima
bomba atomica, cosa che ebbe un drammatico contraccolpo psicologico negli USA.
La linea di demarcazione tra i due blocchi era
in Europa abbastanza netta e spaccava in due il continente.
Le crisi diplomatiche furono frequenti e
spesso ci si avvicinò a un conflitto aperto. Il problema del destino politico
della Germania rappresentava per l'Europa un nodo cruciale. Dal 1947 la parte
ovest di Berlino, sotto l’amministrazione di Francia, Gran Bretagna e USA, era
stata integrata nel sistema politico-economico occidentale.
Nel 1948 i sovietici reagirono a tale politica
con il blocco di Berlino, impedendo ogni comunicazione fra la zona ovest della
città e i Paesi occidentali. Il blocco fu tolto solo nel 1949, dopo il suo fallimento
provocato dal ponte aereo di rifornimento organizzato dagli USA.
Nel 1949, a seguito degli accordi di Washington, gli occidentali concessero l'autonomia ai
tedeschi, costituendo la Repubblica
Federale Tedesca. I sovietici risposero con la creazione della Repubblica Democratica Tedesca. La città
di Berlino rimase divisa in due settori, quello occidentale e quello orientale.
Per impedire le frequenti fughe dei tedeschi orientali in Occidente, nell’agosto
del 1961 venne eretto il cosiddetto muro
di Berlino, che divenne da allora il simbolo della "guerra
fredda".
La situazione europea, nonostante le
lacerazioni, appariva stabile. Alcune aree problematiche rappresentavano un
pericolo facilmente controllabile e nelle zone in cui si sviluppavano movimenti
di opposizione all'ordinamento politico imposto, i due schieramenti cercavano
di reagire con diplomazia, evitando l'uso
diretto della forza.
Gli USA avvertivano l'esigenza di limitare
l'espansionismo sovietico e contenerne la minaccia entro i confini orientali
d'Europa. Secondo questa prospettiva si sviluppò la dottrina Truman con la richiesta di aiuti militari a favore delle
forze anticomuniste. Più diffuso e robusto doveva essere il sostegno economico
per quei Paesi che volevano difendere le istituzioni liberal-democratiche dalla
minaccia comunista. Nel 1947 gli USA organizzarono il Piano Marshall che prevedeva l'intervento economico americano a
sostegno dei Paesi europei devastati dalla guerra, allo scopo di avviarne la
ricostruzione.
Il legame tra gli USA e gli alleati europei si
concretizzò, nell'aprile del 1949, con la firma del Patto atlantico, con cui si costituiva un'alleanza militate
offensiva e difensiva antisovietica (NATO).
L'URSS reagì dando vita al Patto di Varsavia, un'alleanza militate
tra i Paesi comunisti.
I due blocchi finirono comunque per realizzare
una sorta di "coesistenza pacifica".
I primi segni del "disgelo" fra le due superpotenze furono
rappresentati dal trattato di Vienna del 1955, con cui le truppe sovietiche
lasciarono l'Austria, e la conferenza di Ginevra.
Nel 1959 la conferenza di Parigi affrontò per
la prima volta il tema del disarmo nucleare.
L’Unione Sovietica
L'Unione Sovietica era uscita vittoriosa dal
terribile conflitto con la Germania. Tuttavia, al termine del conflitto, il Paese era devastato. La ricostruzione
richiedeva uno sforzo titanico.
Il Partito comunista dell'Unione Sovietica (PCUS),
era ormai ridotto a un apparato rigido e
fortemente gerarchizzato. La cosiddetta nomenklatura,
cioè l'insieme dei funzionari di partito, controllava il Paese eseguendo le
direttive dei vertici, senza nessuna flessibilità. Dal punto di vista economico,
un tale appesantirsi della burocrazia centralizzata aveva costi ingenti e
produceva una notevole mancanza di iniziativa, oltre che una radicata
inefficienza.
Con il varo del quarto piano quinquennale
(1946-1950), l'economia sovietica fece progressi significativi. Vennero
privilegiate l'industria pesante e
la ricerca nel settore militare,
mentre la produzione agricola puntava più sulla quantità che sulla qualità. La
produzione nel settore agricolo crebbe, e aumentò di nove volte in quello
industriale. Lo sviluppo produttivo non
corrispose tuttavia a un miglioramento degli standard di vita della
popolazione. Nel settore agricolo vigeva la prassi dell'acquisto delle derrate alimentari da parte dello Stato, che
imponeva prezzi fissi. Lo scopo era naturalmente quello di assicurare prezzi
di vendita alla portata delle masse, ma nei fatti ciò penalizzava la ricerca
della qualità. Restava insoddisfatto
l'enorme fabbisogno interno, compensato in parte da una politica di
importazione a prezzi bassi dai Paesi amici.
Un notevole sviluppo aveva interessato l'industria di ricerca e tecnologia
spaziale. Questo orientamento accentuava le contraddizioni dell'economia
sovietica: l'URSS poteva realizzare tecnologie
sofisticatissime, in grado di competere con quelle americane, ma non sapeva
fornire ai suoi cittadini i generi di primissima necessità.
L'Europa centro-orientale
Tra il 1945 e il 1955 i Paesi europei soggetti
all'egemonia dell'URSS subirono un processo di sovietizzazione forzata.
In Polonia,
nel giugno del 1947, si svolsero le prime elezioni libere, che videro il
successo del Partito operaio.
La Bulgaria
era stata guidata da un governo antifascista fin dal 1944. Le elezioni del 1945
diedero la maggioranza al Fronte patriottico, in gran parte costituito da
comunisti. La monarchia venne abolita con un referendum. Progressivamente il Partito
comunista si liberò delle altre forze della coalizione e impose un regime a
partito unico.
In Ungheria
aveva ottenuto una forte maggioranza il Partito dei piccoli proprietari, che
aveva costituito un Fronte nazionale ungherese insieme a comunisti e
socialisti. Si istituì dunque un governo di coalizione e venne così proclamata
la repubblica. Nel 1953 Mosca decise di intervenire per moderare gli eccessi
ungheresi, ponendo a capo del governo il moderato Imre Nagy che intraprese una politica di riforme tese a smussare
gli eccessi delle collettivizzazioni, restituendo parte delle terre confiscate
ai contadini e garantendo una certa libertà di espressione politica e
religiosa.
In Romania e in Albania il processo di
"sovietizzazione" politica fu più lineare.
In Romania,
infatti, si svolsero nel novembre del 1946 le elezioni dell'Assemblea costituente.
In Albania
nel 1946 venne proclamata la Repubblica popolare.
In Cecoslovacchia
nel 1946 i governi socialisti e comunisti avviarono una politica di riforme
economiche indirizzate verso la nazionalizzazione della produzione. Il governo
a maggioranza comunista entrò in crisi nel 1948, in seguito alla discussione
sull'accettazione del Piano Marshall. Si andò a nuove elezioni in un clima
avvelenato e con un'unica lista predisposta dal Partito comunista. La scontata
vittoria dei comunisti consentì la trasformazione del Paese in una democrazia
popolare imponendo un rigido regime
stalinista.
In Jugoslavia
i comunisti del maresciallo Tito inaugurarono
una politica definita dai russi "deviazionista", tentando l'esperimento
di una "via nazionale al comunismo"
e mantenendosi su posizioni non
allineate a quelle sovietiche ed equidistanti rispetto alle due grandi
potenze che egemonizzavano la politica mondiale.
La svolta di Kruscev in Unione Sovietica e le conseguenze nei Paesi dell’Est europeo
A partire dalla metà degli anni Cinquanta, la
tensione internazionale sembrò conoscere una sensibile attenuazione. Truman e
Stalin, erano usciti di scena. Truman non era più presidente dal gennaio 1953.
Stalin era morto nel marzo del 1953.
In URSS la lotta per la successione era stata aspra e senza
esclusione di colpi. Dopo un periodo di interregno, assunse la guida del Paese Nikita Sergeevic Kruscev (pronuncia: crusciof) Egli appariva
come una figura nuova, più aperta al mondo esterno, buon comunicatore e attento
ai delicati equilibri sia interni sia internazionali. Alcune sue decisioni
furono senz'altro determinanti per un miglioramento delle relazioni
internazionali. Egli riconobbe l'indipendenza e la neutralità dell'Austria e giunse
allo scioglimento, nell'aprile del 1956, del Cominform, uno dei simboli della
"guerra fredda".
In altri casi tuttavia, le scelte del premier
sovietico portarono a un acuirsi delle tensioni internazionali. All'interno del
Paese, Kruscev decretò la fine del sistema delle "grandi purghe" e pronunciò un'inequivocabile condanna dei crimini staliniani.
Il leader sovietico esponeva la teoria della
"coesistenza pacifica" e cioè il progetto di una competizione
pacifica fra i due modelli, liberaldemocratico e socialista, senza il ricorso
a strategie militari.
Le dichiarazioni di Kruscev non portarono a
significative trasformazioni del sistema politico ed economico sovietico. Sul
piano economico, qualche effetto positive si ebbe con la concessione di una
maggiore autonomia e responsabilità gestionale alle aziende agricole.
Analogamente, nei settori industriali si procedette a una timida modernizzazione
degli impianti. L’idea di soddisfare le esigenze primarie consentì un discreto miglioramento delle condizioni di
vita in URSS.
Nel giugno del 1956, in Polonia, uno sciopero
di massa assunse ben presto il carattere di una violenta rivolta antisovietica.
In Ungheria,
durante lo stesso anno, si susseguirono agitazioni studentesche e operaie.
Veniva richiesta la piena concessione delle libertà civili e l'indipendenza
dall'URSS. A questo punto i membri del Partito comunista chiesero l'intervento dell'Armata rossa. Il 24
ottobre i carri armati sovietici entravano a Budapest, mentre la protesta dilagava in tutto il Paese.
Le truppe sovietiche furono costrette il 29 ad abbandonare Budapest. L’Ungheria
sembrava avere raggiunto finalmente l'indipendenza. Tuttavia il governo arrivò
al punto di proclamare l'uscita dal Patto di Varsavia. Il 3 novembre l'Armata
Rossa stringeva d'assedio la capitale. La resistenza ungherese venne sanguinosamente stroncata.
Il processo di destalinizzazione avviato da
Kruscev non comportò affatto un allentamento del controllo sui Paesi satelliti
dell’est europeo.
Anche i tentativi di distensione verso l'Occidente
furono spesso deludenti. Un viaggio in USA di Kruscev sembrò inaugurare una
fase di dialogo fra le due superpotenze, ma il contatto non produsse alcun
reale cambiamento. Anzi, proprio a seguito di un incontro con il nuovo
presidente John F. Kennedy , fu lo
stesso Kruscev a provocare un inasprimento della situazione in Germania.
Un'altra causa di forte tensione era la questione relativa alle installazioni missilistiche sovietiche
sull'isola di Cuba.
A partire dalla fine degli anni Cinquanta anche
i rapporti tra URSS e Cina andarono deteriorandosi, fino alla rottura politica e diplomatica fra i
due Paesi. I sovietici accusavano i cinesi di scarso rispetto del loro modello
nella costruzione del socialismo reale. Di contro il presidente Mao Zedong accusava l’URSS di aver
imbrigliato e dissolto le spinte rivoluzionarie della società sovietica. A
dividere i due Paesi, tuttavia, erano anche questioni territoriali.
Gli Stati Uniti fra la fine della guerra e gli anni Cinquanta
Gli Stati Uniti uscivano dal conflitto
mondiale pienamente consapevoli di esercitare un predominio sul mondo occidentale. Le forti spese che i governi di
guerra avevano dovuto sostenere non erano però ricompensate da un adeguato
prelievo fiscale. Le elezioni del 1948 avevano portato alla conferma della
presidenza di Truman.
La stabilità
economica del Paese era una priorità
nella politica del presidente. Egli riteneva necessario mantenersi fedele
alle linee del New Deal rooseveltiano.
In politica estera il presidente Truman
manifestò un aperto atteggiamento di ostilità contro l’ex alleato sovietico e
la rottura diplomatica fra i due blocchi contrapposti si realizzò di fatto a
partire dal 1947. Truman sviluppò una strategia finalizzata a ostacolare ovunque la diffusione dei regimi comunisti (la cosiddetta dottrina Truman).
Gli USA vivevano, nell'immediato dopoguerra,
in un clima di mobilitazione anticomunista. Per iniziativa del senatore Joseph McCarthy, venne istituita una
Commissione con poteri speciali per indagare sui sospetti di attività
antiamericane.
II maccartismo divenne una vera e propria
"caccia alle streghe", che emarginò dalla vita sociale i pochi
aderenti al Partito comunista statunitense.
La Commissione divenne inoltre uno strumento persecutorio. Si giunse anche
a limitare la libera espressione delle opinioni. Molti scienziati e
intellettuali furono sottoposti a inchiesta. Il caso più dolorosamente
emblematico fu quello della condanna a morte, nel 1953, dei coniugi Rosenberg,
accusati di spionaggio filosovietico.
L’opera della Commissione venne interrotta due
anni dopo. Intanto, a seguito delle elezioni del 1952, era di venuto presidente
il generale Eisenhower. Con la sua
presidenza, le imprese furono agevolate dal punto di vista fiscale. Si ebbe
un’ulteriore crescita della spesa pubblica, e anche un forte incremento dei
consumi. Nella seconda metà degli anni Cinquanta gli USA erano un Paese
prospero.
Durante il secondo mandato presidenziale di
Eisenhower emersero una serie di problemi fino ad allora trascurati. Anzitutto
la questione dei neri americani, spesso
costretti a vivere in un clima di forte segregazione. Essi non potevano godere
del nuovo benessere sperimentato dal resto della società americana. I
conflitti razziali divennero un elemento determinante di instabilità
politico-sociale nel passaggio fra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta. La
parte fino ad allora emarginata della società statunitense cominciò dunque a
organizzarsi in movimenti di protesta. Fra i leader più popolari e amati emerse
la figura di Martin Luther King.
L'apice della tensione razziale venne toccato nella cittadina di Little Rock, in Alabama, quando il
governo americano dovette inviare l'esercito affinché i neri potessero accedere
alle scuole pubbliche.
La guerra di Corea
La "guerra fredda" conobbe una fase
particolarmente aspra con la guerra di Corea. La penisola coreana era stata
divisa, lungo il 38° parallelo, in due Stati: la Corea del Nord, dove si era costituito un sisterna comunista, e la
Corea del Sud, dove vigeva un regime
nazionalista a conservatore. La tensione fra i due Paesi si era manifestata lungo
la frontiera fin dal 1948.
Il 25 giugno 1950 le forze armate nordcoreane varcarono il 38° parallelo e penetrarono nella Corea del Sud. Il presidente
americano Truman inviò forze armate americane a difesa del Paese amico.
L'esercito americano respinse l'offensiva nordcoreana e si spinse fino al
confine cinese. Ciò provocò l'intervento dell'esercito cinese. L'armistizio,
firmato nel 1953, riconfermò la divisione lungo il confine del 38° parallelo.
La corsa allo spazio
Negli anni Cinquanta e Sessanta la ricerca
scientifica e tecnologica compì enormi progressi. In quest’ottica va senz’altro
considerata la conquista dello spazio.
La gara spaziale era stata avviata durante gli
anni Cinquanta per dimostrare forza e superiorità tecnologica rispetto
all'avversario.
L’URSS dimostrò una straordinaria capacità di
sviluppo delle tecnologie. Nel 1957 i sovietici inviarono nello spazio lo Sputnik, il primo satellite artificiale.
La medesima cosa fecero l'anno successivo gli Stati Uniti.
Nel 1961 il sovietico Jurij Gagarin fu il primo astronauta a navigare in orbita intorno
alla Terra a bordo della navicella Vostok.
Gli USA cercarono di colmare lo svantaggio
intensificando gli sforzi e aumentando i finanziamenti all'agenzia governativa
di ricerche spaziali, la NASA. Gli Usa
vinsero la “gara spaziale” il 21 luglio del 1969, quando gli astronauti Neil Armstrong ed Edwin Aldrin, a bordo della navicella spaziale Apollo 11, raggiunsero la Luna e vi posero piede per la prima
volta.