venerdì 31 maggio 2013

Sintesi: la prosa di Leopardi

Giacomo Leopardi

La conversione estetica. La conversione estetica di Leopardi è il passaggio dall’erudizione illuministica alla scoperta del valore della poesia: vi giunge grazie allo studio ed alle traduzioni, e decide addirittura di intervenire nella polemica classicisti – romantici, con il Discorso di un Italiano intorno alla poesia romantica.
Qui egli difende il classicismo: infatti la poesia classica per lui è autentica, perché proviene dall’immaginazione e dal sentimento degli antichi; però bisogna evitare la fredda imitazione. Quest’ultima osservazione lo fa avvicinare ai Romantici, che accusavano appunto i classicisti di imitare in modo vuoto la poesia del passato.
Però Leopardi non accetta altri due aspetti del Romanticismo: il vero ed il patetico. Nessuno dei due può ispirare la vera poesia: al primo bisogna sostituire le illusioni, mentre il secondo è artificioso, esagerato, privo dell’equilibrio che aveva la poesia classica.

Lo Zibaldone. Per seguire l’evoluzione del pensiero leopardiano diventa prezioso il suo Zibaldone: si tratta della raccolta dei suoi pensieri relativamente alla lingua, alla letteratura, all’autobiografia, alla filosofia, alla morale. Anche se Leopardi compila un indice analitico di questi pensieri, raccolti dal 1817 al 1832, non c’è nessuna sistematicità. Però l’opera è importante perché permette di osservare le tappe delle sue riflessioni.
Nella prima fase, è presente lo scontro tra natura, madre benevola che crea l’uomo felice perché sa immaginare, e la ragione, che rende l’uomo infelice perché lo toglie dal suo stato ingenuo e gli rivela l’“arido vero”. La ragione e la civilizzazione, insomma, allontanano l’uomo dallo stato di natura, che dava la felicità. È quello che viene definito pessimismo storico.
Poi, avviene la cosiddetta conversione filosofica che lo fa avvicinare al sensismo. Ora Leopardi si convince che l’infelicità dell’uomo non ha più ragioni storiche, ma fa parte della natura umana. 
Leopardi sviluppa perciò la teoria del piacere. Ogni uomo tende alla felicità, ma non la può raggiungere mai: il desiderio del piacere è infinito e non può essere appagato da un piacere finito. Esso può trovare un conforto solo nell’immaginazione: nel ricordo (del passato) o nell’illusione (del futuro).
Da queste riflessioni nasce il pessimismo cosmico: la natura è una matrigna, che mette al mondo l’uomo, ma solo per farlo soffrire e poi distruggerlo per conservare se stessa. Il destino dell’uomo è dunque l’infelicità e, quando non c’è il dolore, subentra la noia, perché comunque non è appagato. 
Nell’ultima fase, Leopardi mostra che la funzione dell’intellettuale è svelare al mondo l’inganno della natura: gli uomini devono unirsi per combatterla insieme. In sostanza è quello che viene spesso chiamato pessimismo eroico.

Le operette morali. Durante la fase di silenzio poetico, Leopardi elabora 20 testi in prosa per spiegare il suo pessimismo cosmico. Essi vengono pubblicati poco tempo dopo col titolo di “Operette morali”, senza successo. In seguito la raccolta verrà ampliata fino a giungere il numero di 24 testi. Sono testi di vario tipo, ma soprattutto dialoghi ispirati a Platone e Luciano. Leopardi fa parlare personaggi mitici (Ercole, Atlante…), figure simboliche (Natura, Morte…), personaggi storici (Tasso, Parini…) per vari scopi:

  • mostrare che il dolore è inevitabile
  • sottolineare che la gloria è vana ed illusoria
  • dichiarare che l’universo è senza significato (materialismo e meccanicismo)
  • sostenere che la vitalità è l’unica forza da opporre all’insensatezza dell’universo

Grazie alla profonda cultura classica di Leopardi, lo stile ricorda molto forme e contenuti della prosa antica. Non ci sono tesi da dimostrare, ma piuttosto la volontà di far emergere gli errori della ragione. Per tale motivo, spesso usa una fine ironia.
Tra i più belli, il Dialogo della Natura e di un Islandese  ed  il Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere.

domenica 26 maggio 2013

Freud e la psicoanalisi



Cenni biografici
Sigmund Freud nacque in Moravia, sotto l’impero absburgico, nel 1856, da una famiglia di ebrei commercianti che, in seguito, si stabilì a Vienna. Laureatosi in medicina, ottenne una borsa di studio e andò a Parigi, alla scuola di neuropatologia della Salpetrière, diretta da Charcot. Si sposò ed ebbe sei figli (la più famosa tra loro fu Anna Freud, che continuò le ricerche del padre). L’amico Breuer gli affidò una sua paziente, Anna O., con cui Freud inaugurò il suo nuovo metodo: era nata la psicoanalisi.
Nel 1899 Freud pubblicò L’interpretazione dei sogni, opera fondamentale, trovando all’inizio moltissimi critici. Alcuni anni più tardi vi fu il primo Congresso della Società Psicoanalitica Internazionale, che vide presenti, tra gli altri, Jung (il quale si staccherà poi da Freud).
Freud dovette subire, però, la persecuzione nazista. Nel 1933 a Berlino i nazisti bruciarono, nel rogo dei libri, anche le opere dell’ebreo Freud. Nel 1938 Freud fu costretto ad andarsene e si trasferì a Londra. Morì l’anno dopo, poco dopo l’inizio della seconda guerra mondiale.

La cura delle nevrosi
Alla fine dell’Ottocento, la medicina ufficiale spiegava le sofferenze mentali come conseguenze organiche di lesioni o di disfunzioni del cervello. Inoltre la sfera della psiche era identificata con quella della coscienza, capace di esercitare un dominio totale sugli istinti e sulle azioni.
Freud scopre invece che la causa delle nevrosi è psicogena: significa che essa non deriva da disturbi organici, ma da un conflitto tra forze inconsce. La scoperta dell’inconscio segna l’atto di nascita della psicoanalisi.

La prima topica
Per spiegare i fenomeni psichici bisogna tenere conto:
  • della distinzione tra un livello conscio ed un livello inconscio
  • dell’azione causale dell’inconscio sul conscio.
Da ciò deriva che i moventi del comportamento umano hanno la loro collocazione, più che nella coscienza, nelle profondità dell’inconscio (raffigurato dall’immagine dell’iceberg: la parte sommersa, la più grande, è appunto l’inconscio; la parte che emerge, più piccola, è il conscio; le onde che toccano la superficie sono il preconscio). La psiche è dunque una realtà divisa da Freud in un primo tempo in tre zone. Questa distinzione rappresenta la “prima topica” descritta nel cap. VII della Interpretazione dei sogni.
Le tre zone sono il conscio, il preconscio e l’inconscio.
L’inconscio è una forza attiva, che opera con una sua logica, diversa dalla logica della vita cosciente (basata, ad esempio, sul principio di causalità, di non contraddizione, sulle sequenze temporali). Esso comprende gli elementi psichici che sono mantenuti inconsci da una forza precisa, la rimozione (è quel meccanismo che rimuove, cioè allontana, dalla coscienza le nostre esperienze e i nostri pensieri, soprattutto se sono spiacevoli ed inaccettabili; è dunque in pratica un meccanismo di difesa), Allontanare dalla coscienza non vuol dire però annullare del tutto il ricordo delle esperienze traumatiche, ed è qui che possono sorgere problemi; se vi è stata un’esperienza traumatica, essa può infatti, prima o poi, tornare a galla, ed in modi più o meno spiacevoli (ad esempio nel caso dell’isteria). e che possono tornare consci solo con grande sforzo e con tecniche apposite.
Il preconscio comprende l’insieme dei ricordi, rappresentazioni, desideri, che, pur essendo momentaneamente inconsci, possono, con un piccolo sforzo, diventare consci.
Il conscio si identifica con la nostra attività diurna e consapevole, ed è una situazione alquanto fluida: non siamo mai, infatti, perfettamente consapevoli di tutto quello che facciamo e che vediamo.
conscio e inconscio

La psicoanalisi
Come è possibile forzare la barriera creata dalla rimozione, accedere all’inconscio, e curare ad esempio una nevrosi? Secondo Freud la soluzione è data dalla psicoanalisi.
Essa non usa l’ipnosi (anche se Freud in un primo tempo la usò) perché conoscere la causa di un trauma non basta a riequilibrare le forze in conflitto. Non fa neppure uso di elettroterapia o dei farmaci della medicina ufficiale.
Essa è una “cura con le parole”, che analizza i sogni e usa il metodo delle libere associazioni. Questo metodo consiste nel mettere il paziente in uno stato di rilassamento (da qui il famoso divano su cui ci si sdraia) in modo che egli possa abbandonarsi al corso dei propri pensieri che vengono espressi ad alta voce. Il paziente è invitato a dire tutto quello che gli passa per la testa, senza nessuno scrupolo religioso, morale, sociale, e senza omettere nulla, neppure quello che può sembrargli insignificante, ridicolo o sgradevole.
Accade però che il fluire delle parole abbia a volte un blocco improvviso: è qui che si avverte che c’è qualcosa che non va, che è stato probabilmente rimosso, cioè tenuto lontano dalla coscienza per evitare le sofferenze del ricordo. Compito dell’analisi è ricostruire ciò che non va e scoprirne le cause per poi riequilibrare le forze psichiche in conflitto.
Con questo metodo, il paziente non è più un destinatario passivo della terapia (come nella medicina comune, dove si seguono i consigli del medico) ma diventa egli stesso colui che si cura.
Freud evidenzia l’importante ruolo dato dalla relazione affettiva che si instaura tra il paziente e l’analista, ossia dal transfert (trasferire sull’analista stati d’animo di amore e di odio). Grazie al transfert, il nevrotico abbandona gradualmente le sue resistenze, ossia le forze che gli impedivano di accedere ai conflitti psichici di cui non era conscio ma che producevano la sua nevrosi.

Nevrosi e psicosi
Può essere utile chiarire la differenza tra nevrosi e psicosi.
Le nevrosi sono disturbi in cui il soggetto mantiene il contatto con la realtà: in altri termini, sa di avere qualcosa che non va ma non riesce a capire il perché e, a parte qualche disturbo, per il resto conduce una vita "normale". Si tratta in genere di ansietà, fobie, idee fisse, etc.
Le psicosi sono invece malattie molto più gravi, in cui vi è una alterazione profonda della personalità e l’individuo non ha più coscienza della gravità del suo male per cui ha perso il contatto con la realtà. Si tratta di quei fenomeni psichiatrici come la schizofrenia o la depressione.

Il sogno
Il sogno rappresenta per Freud “la via regia” per conoscere l’inconscio. Durante il sonno, la censura è indebolita e pertanto l’inconscio, con i suoi desideri rimossi, preme con maggiore intensità. Il sogno fa realizzare i desideri inconsci e rende possibile lo scaricarsi della tensione. In questo senso il sogno è definito da Freud come l’appagamento di un desiderio.
Attenzione, però: anche nel sogno, la censura non è scomparsa del tutto e dunque maschera ed altera la realizzazione del desiderio. Perché lo fa? Lo fa, naturalmente, per rendere sempre accettabile alla coscienza i contenuti rimossi.
Ogni sogno ha così un contenuto manifesto (quello che viene ricordato al risveglio) ed un contenuto latente cioè nascosto (il vero significato del sogno). Per interpretare correttamente un sogno, Freud ha scoperto cinque regole :

  • la condensazione (cioè la tendenza ad esprimere in un unico elemento più elementi collegati tra loro);
  • lo spostamento (che consiste nel trasferimento da una rappresentazione ad un’altra);
  • la drammatizzazione (alterazione di situazioni);
  • la rappresentazione per opposto;
  • la simbolizzazione, in cui un elemento sta al posto di un altro.

La metapsicologia
Tale termine fu coniato da Freud nel 1915 per designare la dimensione più propriamente teorica della nuova disciplina. La psicoanalisi non è più soltanto una terapia per malattie nervose, ma una disciplina che serve a fornire una nuova conoscenza dell’uomo in generale (non solo del “malato”, insomma).
Alla base dei fenomeni psichici vi è il principio del piacere: esso ha la funzione di evitare il dispiacere e la sofferenza, appagando i desideri. Però esiste anche il principio di realtà, che cerca di soddisfare la psiche in base alle condizioni (spiacevoli, cioè contrarie al piacere) che ci sono imposte dalla realtà. In altre parole, poiché non possiamo avere tutto ciò che vogliamo, lo sostituiamo con altro. Freud chiama tale meccanismo sublimazione.
Tale dualismo verrà ulteriormente precisato in Al di là del principio del piacere (1920), un saggio nel quale Freud, accanto alle pulsioni sessuali (che non sono semplici istinti), chiamate Eros, riconosce l’esistenza di una pulsione di morte, Thanatos, ossia di una tendenza distruttiva.
Egli giunge a questa conclusione osservando i soggetti che ripetono ossessivamente operazioni anche spiacevoli e dolorose che riflettono conflitti passati.
Quando le pulsioni distruttive o di morte sono rivolte verso l'interno della persona, esse tendono all’autodistruzione, quando sono rivolte verso l’esterno assumono la forma di pulsioni di aggressione e di distruzione. Le pulsioni si presentano spesso come ambivalenti, caratterizzate cioè dalla compresenza dei due principi di vita e di morte; anche la sessualità sarebbe ambivalente, in quanto presenta contemporaneamente amore e aggressività.

La seconda topica
Nell’opera L’Io e l’Es del 1923, Freud individua tre componenti della psiche che non chiama più conscio, preconscio e inconscio come aveva fatto nella prima topica, ma Io, Es e Super Io. Come si vede dall'immagine, Io e Super Io sono parzialmente inconsci.
Stiamo molto attenti: esse non corrispondono alle tre componenti della prima topica. Freud riprende il termine Es, pronome neutro nella lingua tedesca, per indicare il serbatoio dell’energia psichica, l’insieme inconscio delle pulsioni.
L’Es è retto dal principio del piacere, mentre l’Io è retto dal principio di realtà e deve mediare tra le richieste pressanti dell’Es e quelle altrettanto pressanti del Super Io (che è in breve il nostro censore, la coscienza morale, la quale si forma in seguito all’educazione e all’ambiente in cui si vive, e nasce al termine del complesso edipico).
Il Super Io fa le funzioni del giudice nei confronti dell’Io (nell’Io, la percezione inconscia delle critiche del Super Io diventa “senso di colpa”). Insomma, dice Freud, “spinto così dall’Es, stretto dal Super Io, respinto dalla realtà, l’Io lotta per venire a capo del suo compito economico di stabilire l’armonia tra le forze e gli impulsi che agiscono in lui e su di lui; e noi comprendiamo perché tanto spesso non ci è possibile reprimere l’esclamazione : la vita non è facile!”.

La sessualità
Per Freud la pulsione sessuale (detta libido) è la più importante, se non l’unica, della psiche umana. Questa nozione ovviamente era già di per sé rivoluzionaria; ma Freud aggiunse altro.
L’interpretazione dei sogni dei pazienti spinse Freud a notare la presenza di desideri sessuali risalenti all’infanzia. La scoperta della sessualità infantile fu una delle cose più scioccanti della psicoanalisi. Fino ad allora si identificava la sessualità con l’attività genitale dell’adulto. Freud invece la intende come la ricerca del piacere corporeo e dunque, da questo punto di vista, è presente in tutte le età della vita umana.
Freud definisce il bambino “perverso polimorfo”: perverso perché cerca il piacere senza badare al fine riproduttivo della sessualità (non ha dunque alcun valore negativo); polimorfo perché ricerca il piacere attraverso i vari organi corporei.
Freud distingue nello sviluppo della sessualità cinque fasi, ognuna delle quali è caratterizzata dall’organo che vi è privilegiato nella ricerca del piacere (fase orale, anale, fallica, latente, genitale)
Durante la fase fallica nasce il complesso d’Edipo, che indica la normale crisi emotiva, in genere a livello di fantasie inconsce, provocata dai desideri del maschietto verso la madre e la gelosia nei confronti del padre; analogamente succede nella bambina.

La religione
Freud ha affrontato la tematica religiosa in diverse opere (Totem e tabù, L’uomo Mosè e la religione monoteistica). Ne L’avvenire di una illusione (1927), egli critica la religione definendola appunto una illusione, perché è un appagamento illusorio dei desideri più antichi dell’umanità (la felicità, l’immortalità, la giustizia, l’amore).
La stessa figura di Dio, visto come un Padre sia amato che temuto, non sarebbe altro, per Freud, che la proiezione dei rapporti che l’uomo ha col suo padre terreno.
Comunque, Freud non intende dire che la religione sia necessariamente falsa, ma afferma che contiene in sé elementi di illusione, che la rendono indimostrabile. Egli auspica comunque che l’umanità futura possa vivere senza religione visto che essa, secondo Freud, ha fallito il suo compito, cioè non è riuscita a rendere felice la maggior parte degli uomini e gli uomini non sono cambiati. L’abbandono della religione per Freud segnerà il passo verso una maggiore maturità spirituale dell’umanità.

Il disagio della civiltà
In un saggio del 1929, Il disagio della civiltà, Freud ritiene che la civiltà sia una tappa necessaria dell’umanità, ma che comporta un certo grado di infelicità. Essa infatti obbliga l’uomo ad inibire molti desideri e pulsioni, a meno che non le possa deviare verso delle mete socialmente e moralmente accettabili (ecco ancora la sublimazione).
Perché una società reprime la libido? Perché da un lato deve neutralizzare una forza individualistica e amorale, minacciando la convivenza civile (ecco il perché del tabù dell’incesto); e perché dall’altro la società non può fare a meno delle forze e dell’energia dei suoi membri e dunque deve obbligare ciascuno di essi ad investire l’energia della libido in prestazioni di tipo socialmente accettabile (ecco il perché di regole e divieti sessuali in tutte le società).
Però, visto che è impensabile il dominio assoluto del Super Io sull’Es, allora un certo grado di disagio, di infelicità, di sofferenza, di nevrosi è inevitabilmente connesso con la civiltà stessa. L’uomo non può sopravvivere senza civiltà, ma nella civiltà non può mai vivere del tutto felice. 

giovedì 23 maggio 2013

Il mondo bipolare


L’Europa dei blocchi

Alla fine del secondo conflitto mondiale l'Europa e il mondo si trovarono divisi in due blocchi contrapposti: quello occidentale, con a capo gli USA, e quello orientale, controllato dall'URSS. Fu l'ex premier inglese Winston Churchill a descrivere per pri­mo il clima di ten­sione creatosi in Europa dopo la guerra. Egli parlò di una "cortina di ferro" che separava l’Oriente europeo dal mon­do libero ed espresse la necessità di combattere contro l'avanzata del comunismo.
Le due superpotenze proponevano modelli di società, di economia e di cultura an­titetici. Gli USA e i Paesi loro alleati erano retti da democrazie parlamentari; l’URSS e i Pae­si comunisti erano Repubbliche popolari a partito unico.
La contrapposizione tra i due blocchi assunse la denominazione di "guerra fredda": uno scontro indiretto, in cui i due contendenti ricorrevano ai mezzi più sottili dello spionaggio, della propaganda, della diplomazia; l’arma forse più micidiale in questa fase fu la minaccia di una guerra nucleare.
L’elemento distintivo del periodo fu la cosiddetta "corsa agli armamenti". Le due grandi potenze tesero ad ampliare in ma­niera esponenziale i loro arsenali militari a scopo offensivo e difensivo.
Nel 1949 l’URSS fece esplodere la sua prima bomba atomica, cosa che ebbe un drammatico contraccolpo psicologico negli USA.
La linea di demarcazione tra i due blocchi era in Europa abbastanza netta e spacca­va in due il continente.
Le crisi diplomatiche furono frequenti e spesso ci si avvicinò a un conflitto aperto. Il problema del destino politico della Germania rappresentava per l'Europa un nodo cruciale. Dal 1947 la parte ovest di Berlino, sotto l’amministrazione di Francia, Gran Bretagna e USA, era stata integrata nel sistema politico-economico occidentale.
Nel 1948 i sovietici reagirono a tale politica con il blocco di Berlino, impedendo ogni comunicazione fra la zona ovest della città e i Paesi occidentali. Il blocco fu tolto solo nel 1949, dopo il suo fallimento provocato dal ponte aereo di rifornimento organizzato dagli USA.
Nel 1949, a seguito degli accordi di Washington, gli occidentali concessero l'autonomia ai tedeschi, costituendo la Repubblica Federale Tedesca. I so­vietici risposero con la creazione della Repubblica Democratica Tedesca. La città di Berlino rimase divisa in due settori, quello occidentale e quello orientale. Per impedire le frequenti fughe dei tedeschi orientali in Oc­cidente, nell’agosto del 1961 venne eretto il cosiddetto muro di Berlino, che divenne da allora il simbolo della "guerra fredda".
La situazione europea, nonostante le lacerazioni, appariva stabile. Alcune aree pro­blematiche rappresentavano un pericolo facilmente controllabile e nelle zone in cui si sviluppavano movimenti di opposizione all'ordinamento politi­co imposto, i due schieramenti cercavano di reagire con diplomazia, evitando l'uso diretto della forza.
Gli USA avvertivano l'esigenza di limitare l'espansionismo sovietico e contenerne la minaccia entro i confini orientali d'Europa. Secondo questa prospettiva si sviluppò la dottrina Truman con la richiesta di aiuti militari a favore delle forze anti­comuniste. Più diffuso e robusto doveva essere il sostegno economico per quei Paesi che volevano difendere le istituzioni li­beral-democratiche dalla minaccia comunista. Nel 1947 gli USA organizzarono il Piano Marshall che prevedeva l'intervento economico americano a sostegno dei Paesi europei devastati dalla guerra, allo scopo di avviarne la ricostruzione.
Il legame tra gli USA e gli alleati europei si concretizzò, nell'aprile del 1949, con la firma del Patto atlantico, con cui si costituiva un'alleanza militate offensiva e di­fensiva antisovietica (NATO).
L'URSS reagì dando vita al Patto di Varsavia, un'alleanza militate tra i Paesi comunisti.
I due blocchi finirono comunque per realizzare una sorta di "coesistenza paci­fica". I primi segni del "disgelo" fra le due superpotenze furono rappresentati dal trattato di Vienna del 1955, con cui le truppe sovietiche lasciarono l'Austria, e la conferenza di Ginevra.
Nel 1959 la conferenza di Parigi affrontò per la prima volta il tema del disarmo nucleare.

L’Unione Sovietica

L'Unione Sovietica era uscita vittoriosa dal terribile conflitto con la Germania. Tuttavia, al termine del conflitto, il Paese era devastato. La ricostruzio­ne richiedeva uno sforzo titanico.
Il Partito comunista dell'Unione Sovietica (PCUS), era ormai ridotto a un apparato rigido e fortemente gerarchizzato. La cosiddetta nomenklatura, cioè l'insieme dei funzionari di partito, controllava il Paese eseguendo le direttive dei vertici, senza nessuna flessibilità. Dal punto di vista economico, un tale appesantirsi della burocrazia centralizzata aveva costi ingenti e produceva una notevole mancanza di iniziativa, oltre che una radicata inefficienza.
Con il varo del quarto piano quinquennale (1946-1950), l'economia sovietica fece progressi significativi. Vennero privilegiate l'industria pesante e la ricerca nel settore militare, mentre la produzione agricola puntava più sulla quantità che sulla qualità. La produzione nel settore agricolo crebbe, e aumentò di nove volte in quello industriale. Lo  svilup­po produttivo non corrispose tuttavia a un miglioramento degli standard di vita della popolazione. Nel settore agricolo vigeva la prassi dell'acquisto delle derrate ali­mentari da parte dello Stato, che imponeva prezzi fissi. Lo scopo era naturalmen­te quello di assicurare prezzi di vendita alla portata delle masse, ma nei fatti ciò pe­nalizzava la ricerca della qualità. Restava insoddisfatto l'enorme fabbisogno interno, compensato in parte da una politica di importazione a prezzi bassi dai Paesi amici.
Un notevole svi­luppo aveva interessato l'industria di ricerca e tecnologia spaziale. Questo orientamento accentuava le contraddizioni dell'economia sovietica: l'URSS poteva realiz­zare tecnologie sofisticatissime, in grado di competere con quelle americane, ma non sapeva fornire ai suoi cittadini i generi di primissima necessità.

L'Europa centro-orientale

Tra il 1945 e il 1955 i Paesi europei soggetti all'egemonia dell'URSS subirono un processo di sovietizzazione forzata.
In Polonia, nel giugno del 1947, si svolsero le prime elezioni libere, che videro il successo del Partito operaio.
La Bulgaria era stata guidata da un governo antifascista fin dal 1944. Le elezioni del 1945 diedero la maggioranza al Fronte patriot­tico, in gran parte costituito da comunisti. La monarchia venne abolita con un refe­rendum. Progressivamente il Partito comunista si liberò delle altre forze della coalizione e im­pose un regime a partito unico.
In Ungheria aveva ottenuto una forte maggioranza il Parti­to dei piccoli proprietari, che aveva costituito un Fronte nazionale ungherese insie­me a comunisti e socialisti. Si istituì dunque un governo di coalizione e venne così proclamata la repubblica. Nel 1953 Mosca decise di interve­nire per moderare gli eccessi ungheresi, ponendo a capo del governo il moderato Imre Nagy che intraprese una politica di riforme tese a smussare gli eccessi delle collettivizzazioni, restituendo parte delle terre confiscate ai contadini e garantendo una certa libertà di espressione politica e religiosa.
In Romania e in Albania il processo di "sovietizzazione" politica fu più lineare.
In Romania, infatti, si svolsero nel novembre del 1946 le elezioni dell'Assemblea costituente.
In Albania nel 1946 venne proclama­ta la Repubblica popolare.
In Cecoslovacchia nel 1946 i governi socialisti e comunisti avviarono una politica di riforme economiche indirizzate verso la nazionalizzazione della produzione. Il governo a maggioranza comunista en­trò in crisi nel 1948, in seguito alla discussione sull'accettazione del Piano Marshall. Si andò a nuo­ve elezioni in un clima avvelenato e con un'unica lista predisposta dal Partito co­munista. La scontata vittoria dei comunisti consentì la trasformazione del Paese in una democrazia popolare imponendo un rigido regime stalinista.
In Jugoslavia i comunisti del maresciallo Tito inaugurarono una politica definita dai russi "deviazio­nista", tentando l'esperimento di una "via nazionale al comunismo" e mantenen­dosi su posizioni non allineate a quelle sovietiche ed equidistanti rispetto alle due grandi potenze che egemonizzavano la politica mondiale.


La svolta di Kruscev in Unione Sovietica e le conseguenze nei Paesi dell’Est europeo

A partire dalla metà degli anni Cinquanta, la tensione internazionale sembrò co­noscere una sensibile attenuazione. Truman e Stalin, erano usciti di scena. Truman non era più presidente dal gennaio 1953. Stalin era morto nel marzo del 1953.
In URSS la lotta per  la successione era stata aspra e senza esclusione di colpi. Dopo un periodo di interregno, assunse la guida del Paese Nikita Sergeevic Kruscev (pronuncia: crusciof) Egli appariva come una figura nuova, più aperta al mondo esterno, buon comunicatore e attento ai delicati equilibri sia interni sia internazionali. Alcune sue decisioni furono senz'altro deter­minanti per un miglioramento delle relazioni internazionali. Egli riconobbe l'indipendenza e la neutralità dell'Austria e giunse allo scioglimento, nell'aprile del 1956, del Cominform, uno dei sim­boli della "guerra fredda".
In altri casi tuttavia, le scelte del premier sovietico portarono a un acuirsi delle tensioni internazionali. All'interno del Paese, Kruscev decretò la fine del sistema delle "grandi purghe"  e pronunciò un'inequivocabile condanna dei crimini staliniani.
Il leader sovietico esponeva la teo­ria della "coesistenza pacifica" e cioè il progetto di una competizione pacifica fra i due modelli, liberaldemocratico e socialista, sen­za il ricorso a strategie militari.
Le dichiarazioni di Kruscev non portarono a significative trasformazioni del sistema politico ed economico sovietico. Sul piano economico, qualche effetto positi­ve si ebbe con la concessione di una maggiore autonomia e responsabilità gestiona­le alle aziende agricole. Analogamente, nei settori industriali si procedette a una timida modernizzazione degli impianti. L’idea di soddisfare le esigenze primarie consentì un discreto miglioramento delle condizioni di vita in URSS.
Nel giugno del 1956, in Polonia, uno sciopero di massa assunse ben presto il carattere di una violenta rivolta antisovietica.
In Ungheria, durante lo stesso anno, si susseguirono agitazioni studente­sche e operaie. Veniva richiesta la piena concessione delle libertà civili e l'in­dipendenza dall'URSS. A questo punto i membri del Partito comunista chiesero l'intervento dell'Armata rossa. Il 24 ottobre i carri armati sovietici entravano a Budapest, mentre la protesta di­lagava in tutto il Paese. Le truppe sovietiche furono costrette il 29 ad abbando­nare Budapest. L’Ungheria sembrava avere raggiunto finalmente l'indipendenza. Tuttavia il governo arrivò al punto di proclamare l'uscita dal Patto di Varsavia. Il 3 novembre l'Armata Rossa stringeva d'assedio la capitale. La resistenza ungherese venne sanguinosamente stroncata.
Il processo di destalinizzazione avviato da Kruscev non comportò affatto un allenta­mento del controllo sui Paesi satelliti dell’est europeo.
Anche i tentativi di distensione verso l'Occidente furono spesso deludenti. Un viaggio in USA di Kru­scev sembrò inaugurare una fase di dialo­go fra le due superpotenze, ma il contatto non produsse alcun reale cambiamento. Anzi, proprio a seguito di un incontro con il nuovo presidente John F. Kennedy , fu lo stesso Kruscev a provocare un inasprimento della situazione in Germania. Un'altra causa di forte tensione era la questione relativa alle instal­lazioni missilistiche sovietiche sull'isola di Cuba.
A partire dalla fine degli anni Cinquanta anche i rapporti tra URSS e Cina andarono deterio­randosi, fino alla rottura politica e diplomatica fra i due Paesi. I sovietici accusavano i cinesi di scarso rispetto del loro modello nella co­struzione del socialismo reale. Di contro il presidente Mao Zedong accusava l’URSS di aver imbrigliato e dissolto le spinte ri­voluzionarie della società sovietica. A dividere i due Paesi, tuttavia, erano anche questioni territoriali.

Gli Stati Uniti fra la fine della guerra e gli anni Cinquanta

Gli Stati Uniti uscivano dal conflitto mondiale pienamente consapevoli di esercita­re un predominio sul mondo occidentale. Le forti spese che i governi di guerra avevano dovuto sostenere non erano però ricompensate da un adeguato prelievo fiscale. Le elezioni del 1948 avevano portato alla conferma della presidenza di Truman.
La stabilità economica del Paese era una priorità nella politica del presidente. Egli riteneva necessario mantenersi fedele alle linee del New Deal roose­veltiano.
In politica estera il presidente Truman manifestò un aperto atteggiamento di ostilità contro l’ex alleato sovietico e la rottura diplomatica fra i due blocchi contrapposti si realizzò di fatto a partire dal 1947. Truman sviluppò una strategia finalizzata a ostacolare ovunque la diffusione dei regimi comunisti (la cosiddetta dottrina Truman).
Gli USA vivevano, nell'immediato dopoguerra, in un clima di mobilitazione anti­comunista. Per iniziati­va del senatore Joseph McCarthy, venne istituita una Commissione con po­teri speciali per indagare sui sospetti di attività antiamericane.
II maccartismo divenne una vera e propria "caccia alle streghe", che emarginò dalla vita sociale i pochi aderenti al Partito comunista statunitense.
La Commissione divenne inoltre uno strumento persecutorio. Si giunse anche a limitare la libera espressione delle opinioni. Molti scienziati e intellettuali furono sottoposti a inchie­sta. Il caso più dolorosamente emblematico fu quello della condanna a morte, nel 1953, dei coniugi Rosenberg, accusati di spionaggio filosovietico.
L’opera della Commissione venne interrotta due anni dopo. Intanto, a seguito delle elezioni del 1952, era di venuto presidente il generale Ei­senhower. Con la sua presidenza, le imprese furono age­volate dal punto di vista fiscale. Si ebbe un’ulteriore crescita della spesa pubblica, e anche un forte incremento dei consumi. Nella seconda metà degli an­ni Cinquanta gli USA erano un Paese prospero.
Durante il secondo mandato presidenziale di Eisenhower emersero una serie di pro­blemi fino ad allora trascurati. Anzitutto la questione dei neri americani, spesso co­stretti a vivere in un clima di forte segregazione. Essi non potevano godere del nuo­vo benessere sperimentato dal resto della società americana. I conflitti razziali divennero un elemento determinante di instabilità politico-sociale nel passaggio fra gli anni Cin­quanta e gli anni Sessanta. La parte fino ad allora emarginata della società statunitense cominciò dunque a organizzarsi in movimenti di protesta. Fra i leader più popolari e amati emerse la figura di Martin Luther King. L'apice della tensione razziale venne toccato nella cittadina di Lit­tle Rock, in Alabama, quando il governo americano dovette inviare l'esercito affinché i neri potessero accedere alle scuole pubbliche.

La guerra di Corea

La "guerra fredda" conobbe una fase particolarmente aspra con la guerra di Corea. La penisola coreana era stata divisa, lungo il 38° parallelo, in due Stati: la Corea del Nord, dove si era costituito un si­sterna comunista, e la Corea del Sud, dove vigeva un regime nazionalista a conservatore. La tensione fra i due Paesi si era manifestata lungo la frontiera fin dal 1948.
Il 25 giugno 1950 le forze armate nordcoreane varcarono il 38° pa­rallelo e penetrarono nella Corea del Sud. Il presi­dente americano Tru­man inviò forze armate americane a difesa del Paese amico. L'esercito americano respinse l'offensiva nordcoreana e si spinse fino al confine cinese. Ciò provocò l'intervento dell'esercito cinese. L'armistizio, firmato nel 1953, riconfermò la divisione lungo il confine del 38° parallelo.

La corsa allo spazio

Negli anni Cinquanta e Sessanta la ricerca scientifica e tecnologica compì enormi progressi. In quest’ottica va senz’altro considerata la conquista dello spazio.
La gara spaziale era stata avviata durante gli anni Cinquanta per dimostrare forza e superiorità tecnologica rispetto all'avversario.
L’URSS dimostrò una straordinaria capacità di sviluppo delle tecnologie. Nel 1957 i sovietici inviarono nello spazio lo Sputnik, il primo satellite artificiale. La medesima cosa fecero l'anno successivo gli Stati Uniti.
Nel 1961 il sovietico Jurij Gagarin fu il primo astronauta a navigare in orbita intor­no alla Terra a bordo della navicella Vostok.
Gli USA cercarono di colmare lo svantaggio intensificando gli sforzi e aumentando i finanziamenti all'agenzia governativa di ricerche spaziali, la NASA. Gli Usa vinsero la “gara spaziale” il 21 luglio del 1969, quando gli astronauti Neil Armstrong ed Edwin Aldrin, a bordo della navicella spaziale Apollo 11, raggiunsero la Luna e vi posero piede per la prima volta.

mercoledì 22 maggio 2013

La seconda guerra mondiale: una sintesi




Verso il conflitto


La politica di espansione della Germania nazista portò in pochi anni allo scoppio di un secondo conflitto mondiale. Il Terzo Reich si legò all’Italia fascista e al Giappone, mentre Gran Bretagna e Francia si coalizzarono per fronteggiare la nuova minaccia.
Nel 1938 Hitler aveva ormai avviato il riarmo tedesco e si era assicurato l’appoggio di Mussolini. Il primo obbiettivo dell’espansionismo nazista fu l’Austria. Gli austriaci accolsero l’ingresso dei tedeschi nei loro confini con entusiasmo e grandi festeggiamenti.
Nel settembre 1938 Hitler minacciò l’invasione dei Sudeti, regione della Cecoslovacchia a maggioranza tedesca. I rappresentanti di Francia, Gran Bretagna e Italia si riunirono a Monaco per risolvere pacificamente la questione. I Sudeti vennero ceduti alla Germania, che si impegnava a rinunciare a ulteriori annessioni.
Il 15 marzo 1939 le truppe naziste, violando gli accordi di Monaco, entrarono in Cecoslovacchia. Contemporaneamente aumentavano le pressioni sulla Polonia per la cessione del “corridoio di Danzica”. Il governo polacco inviò una risposta categoricamente negativa alle richieste tedesche.
Di fronte a ciò, il governo inglese si decise a un eventuale sostegno militare nei confronti della Polonia minacciata. In aprile Francia e Inghilterra iniziarono le trattative con l’URSS per dare vita ad un’alleanza antigermanica.
Mussolini, intanto, invadeva l’Albania. La politica estera del Duce dipendeva sempre di più dall’alleanza con i tedeschi. L’Italia, infatti, legava definitivamente i propri destini con la Germania con la firma del patto d’Acciaio. Con esso, l’Italia si impegnava ad entrare in guerra a fianco della Germania in azioni sia difensive sia offensive. Mussolini, tuttavia, era consapevole della debolezza militare italiana.
Un evento imprevedibile sconvolse la situazione politica europea: nell’agosto 1939 Molotov e von Ribbentrop, ministri degli esteri sovietico e tedesco, firmarono un patto di non aggressione della durata di dieci anni. Stalin riteneva in questo modo di essersi messo al sicuro da eventuali rischi bellici.
Tale patto comprendeva un protocollo segreto con il quale l’URSS e la Germania si accordarono per la spartizione della Polonia. Hitler era pronto all’offensiva. L’attacco alla Polonia venne fissato per il 26 agosto 1939. Tuttavia il 25 agosto l’Inghilterra aveva formalizzato la propria alleanza militare con la Polonia.


Lo scoppio del conflitto e le prime operazioni. La “guerra lampo” (1939-1940)

Il 1° settembre 1939 i carri armati tedeschi invasero la Polonia da occidente, men­tre l'Armata rossa avanzava da oriente. I polacchi opposero resistenza, ma nel giro di un mese il Paese venne occupato. L'invasione della Polonia scatenò la reazione di Francia e Gran Bretagna, che il 3 settembre dichiararono guerra alla Germania.
Mussolini, con il consenso di Hitler, per il momento decise di restare neutrale. Secondo gli accordi segreti del patto Molotov-Ribbentrop, l’URSS occupò alcune aree della Polonia orientale e lanciò l'attacco contro la Finlandia.
La disperata resistenza finnica si prolungò fino al marzo del 1940, quando venne firmata la pace a Mosca. La Finlandia ce­deva l’istmo di Carelia e la base navale di Hango.
Sul fronte francese, si attendeva l'attacco tedesco dietro la linea fortificata Maginot. Ma le cose non andarono come previsto.
Nella primavera del 1940 Hitler rivolse le sue forze a settentrione: nell'aprile occupò Danimarca e Norvegia. A questo punto, i tedeschi attaccarono direttamente gli anglo-francesi. All'inizio l'offensiva occidentale della Germania si svolse secondo una strategia simile a quella della Grande Guerra: nel maggio del 1940 le truppe naziste invasero paesi neutrali, quali Belgio, Lussemburgo e Olanda, quindi aggirarono la linea Maginot attaccando la Francia da nord.
Il 14 giugno i tedeschi entrarono da vincitori a Parigi. La guerra in Europa poteva pressoché dirsi conclusa. Mussolini, abbagliato dal successo senza precedenti dell'offensiva nazista, abban­donò precipitosamente la posizione di neutralità e attaccò la Francia sulle Alpi poco prima della caduta di Parigi (10 giugno). Tuttavia le truppe italiane non riuscirono ad avanzare di molto in Francia.
Il governo francese, con sede a Vichy, divenne un satel­lite nell'orbita nazista. Intanto, postosi a capo dei francesi fuggiti, il generale Charles De Gaulle lanciava ai francesi, da Londra, disperati appelli alla resistenza.
Hitler decise di effettuare una massiccia offensiva aerea contro la Gran Bretagna, per fiaccare la resistenza inglese e preparare l’invasione dell’isola. Fra l'agosto e il settembre del 1940 si svolse la violentissima "battaglia d'Inghilterra". L'aviazione tedesca causò ingenti danni con i suoi bombardamenti, ma non raggiun­se la scopo, anche perché i piloti della RAF (Royal Air Force) le inflissero gravissime perdite. Hitler dovette accantonare l'illusione di una ra­pida vittoria.
Nei settembre 1940 il Führer rafforzò ulteriormente le sue posizioni attraverso iniziative diplomatiche di allargamento del suo sistema di alleanze. Il 27 settembre Germa­nia, Italia e Giappone firmavano a Berlino il patto tripartito, stringendo un'allean­za inedita allo scopo di creare un "nuovo ordine" in Europa e in Asia. In seguito, aderirono al patto anche Ungheria, Romania e Jugo­slavia. Mussolini diede inizio alla "guerra parallela". Fra il luglio e il settembre 1940, truppe italiane attaccarono i domini inglesi in Africa settentrionale. In ottobre partì un'offensiva contro la Grecia che si rivelò subito un colossale insuccesso, in cui le truppe tedesche dovettero intervenire a sostegno degli italiani per evitare l’occupazione dell'Albania da parte dell'esercito greco. Erano, così, risultate evidenti l’inaffidabilità e l'impreparazione dell'esercito italiano. In Africa, l'offensiva italiana dalla Libia verso l’E­gitto causò una violenta controffensiva inglese. Nel dicembre del 1940 gli inglesi entra­vano in Cirenaica e solo l'intervento dell'Afrikakorps riuscì a farli ripiegare. Anche sul mare l'Italia non ottenne i successi spe­rati. Infatti, la flotta inglese si scontrò con quella italiana in mare aperto e le inflisse pesanti sconfitte. L’11 novembre del 1940 la flotta italiana veniva attaccata nel porto di Taranto subendo ingenti perdite.

L’attacco nazista all’URSS 

L'intervento nazista nei Balcani aveva definitivamente incrinato le relazioni diplomatiche fra l’URSS e Germania. L’invasio­ne rispondeva a varie esigenze strategiche e ideologiche.

Le cause dell’attacco tedesco all’URSS
Cause militari
Hitler riteneva di importanza vitale piegare in tempi brevi l’esercito sovietico.
Cause economiche
Il territorio russo avrebbe rappresentato una riserva inesauribile di materie prime.
Cause ideologiche
Hitler concepiva la guerra all'URSS come la lotta contra il giudaismo marxista.
Conquista dello “spazio vitale”
Nel Mein Kampf Hitler sosteneva la necessità dell'espansione a oriente.
Cause razziali
L’idea razziale dei popoli slavi implicava la loro sottomissione alla razza ariana.

L'offensiva contro l’Unione Sovietica iniziò il 22 giugno 1941, senza dichiarazione di guerra. Le forze armate tedesche tentarono di porre in atto una strategia ambiziosa. Le truppe avanzarono lungo un fronte di 1600 chilometri, seguendo tre prin­cipali direzioni: Leningrado, Mosca e il Mar Nero. L’esercito nazista aveva inflitto ai russi perdite terribili.
In questo terribile frangente Stalin chiamò a raccolta il suo popolo in difesa del suolo nazionale. Progressivamente le forze militari sovietiche si riorganizzarono. Hitler era convinto di portare a termine le operazioni prima dell'inverno russo, perciò le sue armate non partirono equipaggiate per affrontare i rigori del gelo.
Il piano tedesco non raggiunse gli obiettivi previsti: l'avanzata fu rallentata da fattori ambientali. Leningrado venne assediata per ventotto mesi; presso Mosca una battaglia furibonda determinò l'arresto dell'offensiva nazista. Il piano di "guerra lampo" era fallito.



L’intervento americano

Nel marzo del 1941 gli USA concede­vano aiuti economici agevolati alla Gran Bretagna. Fin dall'inizio della guer­ra, gli Stati Uniti avevano guardato con favore alla resistenza anglo-francese.
Il 14 agosto 1941 Churchill e Roosevelt firmarono la Carta atlantica, in cui venivano determinati i principi per la ricostru­zione di un mondo liberato dalla minaccia nazista. Anche l’URSS aderì al documento.
Nell'area del Pacifico il Giappone occupò l'Indocina francese. USA e Gran Bretagna, preoccupate per la minaccia giappo­nese dalle loro colonie intimarono il ritiro delle truppe di occupazione. Era evidente che gli interessi nipponici erano rivolti verso sud. Il 7 dicembre 1941, senza una dichiarazione di guerra ufficiale l'aviazione giapponese distrusse più della meta della flotta americana ormeggiata nel porto di Pearl Harbor.
L'8 dicembre USA e Gran Bretagna dichiararono guerra al Giappone. L'11 Germania e Italia dichiararono guerra agli USA. Il conflitto assunse dimensioni mondiali.
La guerra in Estremo Oriente e nel Pacifico fu domina­ta dalle forze giapponesi. Nel Sud del Pacifico il Giappone attaccava direttamente l'Australia. Le forze in­glesi furono praticamente annientate e gli Stati Uniti si trovarono in grave difficoltà.
Nei territori occupati, i giapponesi, pur sostenendo la superiorità della razza nipponica, non compirono eccessi come quelli nazisti. Mancava infatti un piano organizzato per lo sterminio raz­ziale come quello tedesco. Soprattutto quando, dopo il 1942, l'andamento della guerra volse a svantaggio del Giappone, si cercò di far partecipare i Paesi soggetti a un comune progetto anticolonialista e antiocci­dentale.



Il "nuovo ordine"

L’alleanza sancita dalla Carta atlantica venne consolidata dalla Conferenza di Washington. Il documento conclusivo della Conferenza fu il patto delle Nazioni Unite, firmato da 26 Paesi, fra cui USA, Gran Bretagna, URSS, tutti impegnati a lottare contro il nazifascismo fino alla sua completa sconfitta.
Nell'Europa occupata il regime nazista stava imponendo il "nuovo ordine”. Esso si ba­sava sui principi della superiorità della razza "ariana", sulla totale sotto­missione dei popoli slavi e sulla volontà di realizzare la cosid­detta soluzione finale della "questione ebrai­ca”.
Gli ebrei furono rinchiusi nei ghetti. Vennero infine deportati in campi di concentramento e di sterminio (lager), nei quali erano annullati come esseri umani. Essi erano immediatamente sottoposti a una selezione che eliminava tutti coloro che non erano in grado di lavorare. Quelli che superavano la selezione venivano sfruttati nei lavori forzati, finché morivano di stenti o venivano uccisi nelle camere a gas. Nel gennaio del 1942 si tenne a Wannsee una riunione delle ge­rarchie naziste. Fu in questa riunione che venne redatto un protocollo in cui si indi­cava come unica via possibile per la soluzione finale lo sterminio indiscriminato e sistematico di tutti gli ebrei. Fu sperimentato il si­stema delle camere a gas.
I tedeschi controllavano i territori oc­cupati con una ferrea organizzazione poliziesca. I "protettorati” e i "territori orienta­li", erano delle vere e proprie colonie in cui non esisteva alcuna forma di autorità locale. I Paesi occupati erano invece soggetti al controllo militare. Vi erano poi una serie di Stati indipenden­ti ma satelliti della Grande Germania, in cui erano stati instaurati regimi collaborazionisti e filona­zisti.
Ma fu soprattutto nell'Europa orien­tale che l'occupazione tedesca risultò spietata. L'in­vocato "Nuovo Ordine” all'Est signi­ficava la sottomissione e la schiaviz­zazione degli slavi.
Hitler realizzava così le due idee forti della sua "concezione politica": la soluzione finale del problema ebraico e l'occupazione a Est dello "spazio vitale".

La svolta del conflitto (1942-1943)

Nella seconda metà del 1942 gli Alleati presero l'iniziativa. Tre battaglie segnarono la svolta nell'andamento del conflitto: quella di Midway nel Pacifico, quella di El Alamein in Africa e quella di Stalingrado in Russia.
Nel Pacifico le forze americane sconfissero la flotta giapponese. Questo interruppe l'offensiva nipponica e diede inizio al vittorioso contrattacco statunitense, che si estese anche alla Cina.
In Africa le truppe tedesche furono fermate e respinte. Con lo sbarco delle truppe americane in Marocco e in Algeria gli italo-tedeschi, completamente accerchiati, si arresero il 13 maggio 1943.
In Russia, nel luglio del 1942, era iniziato l'assedio di Stalingrado da parte dei tedeschi. L'esercito russo scatenò una controffen­siva che provocò l'accerchiamento dei tedeschi e li costrinse alla resa. La battaglia di Stalingrado determinò l'inizio del crollo militare tedesco.
Fra il 28 novembre e il 1° dicembre del 1943 si tenne a Teheran una conferenza dei capi di Stato alleati per concordare le strategie del conflitto. Vi parteciparono Stalin, Chur­chill, Roosevelt. Il leader sovietico ottenne l'impegno ad aprire un secondo fronte euro­peo con uno sbarco sulle coste francesi. Si stabilì inoltre la divisione della Germania in vari Sta­ti.


1943-1944: il crollo del fascismo; gli alleati in Italia

In Italia il regime fascista aveva perso gran parte del sostegno popolare in seguito all'entrata in guerra. Nel marzo del 1943 gli operai avevano effettuato per la pri­ma volta alcuni scioperi. La conquista della Tunisia da parte delle forze alleate costituì la premessa per lo sbarco in Italia.
Il 9 e 10 luglio 1943 gli anglo-americani sbarcarono in Sicilia. La rapida avanzata degli Alleati accelerò il crollo del regime. Nella notte fra il 24 e il 25 luglio il Gran Consiglio del fascismo, attraverso una mozione votò la sfiducia al Duce. Il re Vittorio Emanuele III destituì Mussolini e lo fece arrestare, affidando l'incarico della formazione di un go­verno tecnico-militare al maresciallo Pietro Badoglio.
I primi 45 giorni del governo Badoglio disillusero coloro che avevano sperato in un rinnovamento democratico. Badoglio fu esitante e incerto. Il governo, inoltre, impedì la ricostituzione dei partiti democratici e inoltre confermò l'al­leanza con i tedeschi, mentre intavolava trattative con gli Alleati.
L'armistizio fu annunciato l'8 set­tembre. Le truppe tedesche reagirono subito all'armistizio: attacca­rono i reparti italiani che non consegnavano le armi; liberarono Mussolini dal car­cere del Gran Sasso e lo aiutarono a costituire la Repubblica sociale italiana (RSI), con capitale Salò.
I tedeschi arrestarono e deportarono i militari italiani. Solo coloro che acconsentirono all'arruolamento nell’esercito di Salò vennero liberati.
Ben presto le forze "repubblichine" (gli ade­renti al nuovo governo fascista) iniziarono una stretta collaborazione con le forze ar­mate naziste. Fin dal 9 settembre si erano però organizzate in Italia formazioni par­tigiane, che combattevano i tedeschi e i fascisti.
Le truppe naziste fermarono in Italia l'avanzata degli Alleati nei pressi di Cassino.
Il 13 ottobre Badoglio dichiarava guerra alla Germania, trasformando l'Italia in Paese "cobelligerante" con gli Alleati. Il termine "cobelligerante" derivava dalla situazione italiana che appariva assai confusa.
Dal punto di vista geo-politico l'Italia era spaccata in due zone:
  • la Repubblica di Salò occupava l'area settentrionale della penisola;
  • nel Sud sopravviveva il Regno d'Italia con la pre­senza militare delle forze di liberazione anglo-americane.

La resistenza in Europa

Fenomeni di opposizione armata al nazifascismo, da parte di gruppi organizzati e clandestini, si registrarono in diversi Paesi europei. La Resistenza assunse aspetti differenti da Paese a Paese, ma in generale ebbe caratteristiche di lotta di liberazione nazionale e dunque fu anche guerra civile.
In Europa settentrionale erano comparsi già nel 1940 i primi movimenti di Resi­stenza, nei quali i partigiani compivano azioni di sabotaggio, di guer­riglia, organizzavano scioperi e diffondevano stampa clandestina antinazista.
In Francia, De Gaulle diede vita a un Comitato francese di liberazione nazionale. Si trattava di un organismo che comprendeva tutti i partiti antinazisti. Nel giugno del 1944 il Comitato di liberazione nazionale si trasformò in gover­no provvisorio della Repubblica francese, che si insediò a Parigi, dopo la liberazio­ne della capitale, nell'agosto del 1944.
In Germania si verificarono sporadiche ed elitarie prese di posizione antihitleriane. Non si sviluppò mai un'opposi­zione attiva come in altri Paesi. Questo era dovuto in buona misura alla grande e capillare organizzazione che il regime aveva predisposto, ma anche all'indubbio consenso dei tedeschi all'ideologia hitleriana. Il 20 luglio 1944 venne addirittura organizzato dai vertici dell'esercito un attentato contro Hitler, che fallì miseramente, scatenando una feroce repressione da parte del regime.
In Jugoslavia la resistenza era organizzata dall'opera instancabile del generale Tito, che ottenne la piena fiducia degli Alleati e divenne il punto di riferimento della Resistenza nei Balcani. L'azione dei reparti di Tito si rivolse anche contro chi aveva collaborato con l'invasore nazifascista. Le foibe, cavità naturali della regione istriana e carsica, fu­rono usate come fosse comuni in cui gettare le vittime. Alcune migliaia di italiani furono fra le vittime della guerra partigiana condotta dalle forze di Tito. Anche in Grecia si determinò un forte contrasto fra par­tigiani comunisti e anticomunisti, che avrebbe avuto esiti tragici nel dopoguerra.


1944-1945: la conclusione del conflitto e la sconfitta del nazismo

La linea Gustav, sulla quale si erano attestati i tedeschi in Italia centro-meridionale, venne sfondata nella primavera del 1944. Gli Alleati avanzarono rapidamente verso nord, occupando Roma e Fi­renze. I tedeschi riuscirono a fermare l'avanzata anglo-americana e si attestarono lungo la linea gotica.
Nel rispetto degli accordi di Teheran le for­ze alleate effettuarono uno sbarco in Normandia con grande dispiegamento di mezzi (6 giugno 1944, passato alla storia come il D-Day). I tedeschi si trovarono stretti in una morsa: a ovest gli anglo-americani avanzavano verso Parigi; a sud l'Ita­lia era conquistata passo passo; a est l'Armata Rossa invadeva la Polonia.
Mentre si avvicinavano le truppe alleate, Parigi si liberò con un'insurrezione popo­lare. Il generale De Gaulle entrò nella capitale francese da vincitore al fianco dei comandi alleati (26 agosto) e organizzò il nuovo governo della Francia liberata. In settembre tutta l'area occidentale era libera dall'occupazione nazista.
A oriente, in giugno le truppe sovietiche entrarono in Polonia. Varsavia insorse contro i tedeschi, sperando che l'Armata rossa intervenisse.
Roosevelt e Stalin si in­contrarono a Mosca per decidere l'assetto dell'Europa e stabilire le aree di occupazione dei due eserciti, quello sovietico e quel­lo alleato. A quelle disposizioni si attennero in modo scrupoloso le forte antinazi­ste nei mesi seguenti.
Le forze armate sovietiche occuparono Bulgaria, Romania e Ungheria.
Analogamente gli inglesi poterono penetrare in Grecia senza alcuna opposizione da parte dei sovietici.
Nel Pacifico i giapponesi arretravano di fronte all'offensiva americana.
Tra il 4 e l'11 febbraio del 1945 si tenne la Conferenza di Yalta: Roosevelt, Churchill e Stalin si riu­nirono per decidere l'assetto post-bellico dell'Europa:
  • l'URSS si assunse l'impegno di dichiarare guerra al Giappone;
  • si procedette alla definizione delle zone di occupazione della Germania;
  • si stabilì che nei Paesi liberati si sarebbero tenute libere elezioni per l'autodeter­minazione della forma di governo;
  • si decise che la Polonia sarebbe stata risarcita a occidente a scapito della Germa­nia;
  • si progettò l'istituzione di un'Organizzazione delle Nazioni Unite, con lo sco­po di risolvere pacificamente le controversie internazionali.
Intanto l'offensiva antinazista giunse al termine. Gli anglo-americani avanzarono su Amburgo in direzione di Berlino e il 26 aprile si congiunsero alle truppe sovietiche presso l'Elba. In Italia la linea gotica venne sfondata. Il 25 aprile il Comitato di liberazione nazionale proclamò l'insurrezione popolare. Mussolini tentò la fuga in Svizzera, ma venne riconosciuto e arrestato dai partigiani. Venne fucilato e il suo cadavere fu espo­sto all’oltraggio pubblico in piazzale Loreto a Milano. Hitler si suicidò nel bunker della Cancelleria, a Berlino.
Il Giappone era ormai solo a contrastare disperatamente l'offensiva americana ed era ormai sull'orlo del collasso a causa dello sforzo economico sostenuto per la guerra. Alla fine del 1943 cominciò l’offensiva americana nel Giappone. Nel disperato tentativo di resistere, i giapponesi avevano iniziato fin dall'ottobre del 1944 a colpire le navi americane con le missioni suicide degli aerei kamikaze.
Il Giappone disponeva an­cora di un esercito di circa 3 milioni di uomini pronti a qualunque sacrificio.
Il nuovo presidente degli USA, Harry S. Truman, decise di sganciare due bombe atomiche sulle città di Hiroshima e Naga­saki, con lo scopo di piegare la resistenza nipponica. Gli ordigni caddero sulle due città, il 6 e il 9 agosto, producendo orrende stragi con effetti devastanti.
Il 14 agosto il Giappone si arrese.
La guerra era davvero finita.

La Conferenza di Potsdam e l’assetto postbellico

I capi dei tre grandi Paesi vincitori (USA, Gran Bretagna, URSS) si incontraro­no a Potsdam, presto Berlino, nell'estate del 1945. Il punto centrale della Conferenza fu la risoluzione del problema dell’assetto della Germania, che aveva firmato la resa senza con­dizioni. Si delineò la suddivisione del territorio in zone d'occupazione, controllate dai vincitori (americani, russi, inglesi e anche francesi). Anche Berlino venne divisa in quattro zone d'occupazione. La logica della suddivisione dell'Europa in sfere di influen­za finì per prevalere sul principio di autodeterminazione dei popoli. In pratica, si as­segnarono alle forze occidentali e a quelle sovietiche le zone liberate dai rispettivi eserciti.
L'Organizzazione delle Na­zioni Unite (ONU) fu istituita durante la Conferenza di San Francisco, con l'adesione iniziale di una cinquantina di Paesi. La complessa organizzazione istituzionale dell'ONU risentì delle tensioni internazionali.
Un passo importante nella riorganizzazione politico-economica del mondo era stato segnato con la Conferenza di Bretton Woods (luglio 1944), che regolò i rapporti economici e finanziari nell'interesse dei Paesi occidentali. Tali accordi prevedevano l'istituzione di un Fondo monetario internazionale e di una Banca mondiale. Il controllo americano sul Fondo e sulla Banca mondiale divenne sempre più stretto.


Principi ispiratori dello Statuto delle Nazioni Unite
·      Preservare le future generazioni dal flagello della guerra
·      Riaffermare i diritti fondamentali dell’uomo
·      Promuovere il progresso sociale e la libertà
·      Praticare la tolleranza e istituire relazioni pacifiche fra i popoli
·      Utilizzo delle forze armate solo nel comune interesse
·      Impiego di strumenti internazionali per promuovere il progresso economico e sociale di tutti i popoli

I trattati di pace

I trattati di pace furono stilati a Parigi e firmati a New York il 10 febbraio del 1947. I dissensi fra l'URSS e le potenze occidentali emersero in maniera nettissima durante i lavori. Tra le più importanti questioni ir­risolte vi fu l'assetto postbellico della Germania, che rimase divisa in quattro zone. Allo stesso modo non vennero definite le situazioni di Austria e Giappone.
I membri delle SS furono imprigionati, in attesa che fossero accertate le responsabilità personali nei crimini di guerra. I più importanti gerarchi nazisti vennero processati a Norimberga e la maggior parte di essi furono condannati per crimini contro l'umanità.
L'Italia venne trattata da Paese vinto e subì pesanti clausole. Le isole del Dodecaneso e Rodi vennero assegnate alla Grecia; l'Istria (con Fiume e Zara) e parte della Ve­nezia Giulia alla Jugoslavia; l'Albania divenne indipendente; tutte le colonie furono abbandonate. La questione coloniale era in effetti scottante per tutti i Paesi. Nessuna specifica decisione venne presa sulla sorte delle colonie dei Paesi vincitori. Il processo di decolonizzazione era ormai av­viato, e avrebbe rappresentato uno dei fenomeni politici più importanti del secon­do dopoguerra.

Le due guerre: un confronto e un bilancio

Alcuni storici hanno utilizzato la defi­nizione di "Seconda Guerra dei Trent'anni" per indicare il periodo 1914-1945. In tal modo si è voluto esprimere il senso di una continuità fra le due guerre mondiali e anche mettere in luce il fatto che la Seconda ten­derebbe drammaticamente a risolvere le questioni irrisolte della Prima. Anche nei sistemi di alleanze, vengono riscontrate evidenti analogie: da un lato le democrazie occidentali, dall'al­tro i regimi autoritari.
Questo schema interpretativo, da un lato coglie indubbie continuità, dall'altro finisce per rendere poco evidenti le differenze profonde che esistono fra i due conflitti.
Non si tratta solo di differenze quantitative. La Seconda guerra mondiale e stata da questo punto di vista "più grande" della Grande Guerra, sia per quel che riguarda l'estensione geografica, sia per quanto concerne le tecnologie impiegate e il massiccio contributo, dell'industria, sia per il numero delle vittime (dagli 8 milioni circa della Prima ai 55 milioni circa della Seconda).
In realtà le differenze più accentuate sono di tipo qualitativo.
Se la Grande Guerra é stata definita la prima guerra "totale", solo la Seconda ha vi­sto il coinvolgimento della popolazione civile in modo diretto e sistematico. La Prima fu una guerra prevalentemente combattuta al fronte, in trincea; la Seconda, una guerra illimitata e dilatata fino a coinvolgere ogni momento e aspetto della vi­ta quotidiana. Ciò in gran parte si spiega con il massiccio impiego dell'aviazione e dei bombardamenti sulle città. La popolazione civile diviene elemento del con­flitto. È impossibile non partecipare. Il fenomeno della Resistenza al nazifasci­smo implica il massiccio apporto della popolazione civile. Poi vi sono i rastrellamenti, le de­portazioni nei campi di concentramento, le atrocità delle rappresaglie naziste a danno dei civili.
La scienza applicata alla produzione bellica porta nel 1945 alla co­struzione e all'impiego della bomba atomica.
Se non si coglie la peculiarità e l'atrocità "tutta nuova" del progetto nazista e della sua ideologia to­talitaria, non si coglie neppure il senso della tragedia del conflitto.
Vi è anche la questione della deportazio­ne e dello sterminio di milioni di ebrei, la schiavizzazione della popolazione slava, l'atrocità insensata dei lager e dei ghetti. Tutto questo non ha ri­scontri, né trova analogie, nel precedente conflitto e rende la Seconda guerra mon­diale qualcosa di assolutamente nuovo e diverso nella storia.


Pinocchio: un copione

  SCENA N° 1 Mastro Ciliegia     Cantastorie   Questa è la storia di un burattino che vuole essere un vero bambino Ma è bugi...