martedì 28 maggio 2019

Il bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki




L’attacco atomico alla città giapponese di Hiroshima, insieme a quello su Nagasaki, avvenuto qualche giorno dopo, è un episodio che ha segnato profondamente la storia. L’ordigno, lanciato dall’Aeronautica militare americana alle 8.16 del 6 agosto 1945, durante la Seconda Guerra Mondiale, ha causato la morte di circa duecentomila persone, per lo più civili. Le implicazioni etiche di tale grave episodio sono state tante, perché per la prima volta, durante un conflitto bellico, si è utilizzata un’arma di distruzione di massa come la bomba atomica.


Hiroshima: lo scoppio della bomba atomica

Secondo il punto di vista degli Americani i bombardamenti atomici su Hiroshima e Nagasaki erano stati previsti per accorciare i tempi della Seconda Guerra mondiale, risparmiare parecchie vite tra i militari e i civili ed evitare l’invasione da parte del Giappone. L’opinione pubblica giapponese, invece, è di un altro avviso: si tratta di un vergognoso crimine di guerra messo in atto per portare alla resa il Giappone. Resta il fatto che un simile episodio non si è mai più replicato durante i conflitti bellici.

Gli Stati Uniti avevano testato la bomba atomica nel corso di un progetto scientifico-militare denominato “Manhattan”: una bomba di prova fu esplosa nel Nuovo Messico il 16 luglio 1945. Gli episodi di Hiroshima e Nagasaki si ricordano per le modalità e l’arma utilizzate, ma gli Alleati erano soliti colpire gli avversari con bombardamenti che causavano tantissime perdite umane (è noto in Germania il bombardamento di Dresda, mentre in Italia furono pesantemente colpite città come Catania, Napoli, Bari, Messina e Foggia).

Nell’estate del 1945 ad essere distrutte furono le due città di Tokyo e Kobe. Gli Stati Uniti decisero di non “sprecare” la bomba atomica contro un arsenale militare, ma di puntare ai centri abitati per sfruttare gli effetti psicologici che l’episodio avrebbe avuto sulla popolazione ed il governo giapponese.

Per questo fu scelta Hiroshima, che a quell’epoca era un centro strategico dal punto di vista militare, ma anche un polo industriale molto produttivo. Gli Alleati scelsero questa città come obiettivo perché nei dintorni non vi erano campi di prigionieri di guerra. Al momento dello scoppio della bomba atomica, avvenuta il 6 agosto, pare che ad Hiroshima ci fossero circa 255 mila abitanti, anche se questa stima risulta alquanto approssimativa.

Il dopo-bombardamento

L’avvicinamento dei velivoli americani nello spazio aereo giapponese fu subito rilevato dai radar, ma poco prima del lancio della bomba l’allarme fu ridimensionato perché gli aerei non erano bombardieri, quindi potevano essere facilmente tenuti sotto controllo. L’esplosione della bomba atomica avvenne a 580 metri dal suolo, e lo scoppio violentissimo provocò la morte di circa ottantamila persone. Il 90% della città fu rasa al suolo, e le fiamme divorarono in pochissimo tempo la maggior parte degli edifici presenti.


Una foto di Hiroshima rasa al suolo dalla bomba atomica

Dal quartiere generale di Tokyo non si resero subito conto dell’accaduto: la linea telegrafica centrale era saltata e non vi era possibilità di raggiungere Hiroshima in alcun modo. Un ufficiale di volo fu mandato ad effettuare un sopralluogo e riferire cosa fosse successo. A circa 160 km dalla città l’ufficiale ed il suo copilota notarono con stupore i resti che la bomba atomica aveva lasciato.

Dopo aver informato Tokyo, furono organizzati subito i soccorsi. Le persone sopravvissute (circa il 20% della popolazione) morirono successivamente per avvelenamento a causa delle radiazioni e per le necrosi sopraggiunte. Il presidente americano Harry Truman si aspettava che il Giappone si arrendesse alle loro condizioni, e per fare piegare i giapponesi organizzò una campagna di avvertimento in tutta la nazione tramite volantini ed appelli radio.



Nagasaki, 9 agosto 1945: il fungo atomico

Dopo che l’Unione Sovietica dichiarò guerra al Giappone, l’America pianificò il secondo attacco, che venne attuato il 9 agosto 1945 contro la città di Nagasaki. I due gravissimi episodi, verificatisi a breve distanza l’uno dall’altro, piegarono il Giappone alla resa, che avvenne il 15 agosto 1945: la Seconda Guerra Mondiale era ormai terminata.

Perché la bomba atomica?

Il dibattito sull’utilizzo della bomba atomica durante il conflitto bellico vide schierati da una parte i sostenitori, dall’altra gli oppositori. Secondo il punto di vista di alcuni studiosi, se la bomba atomica doveva essere un “avvertimento” le stragi di Hiroshima e Nagasaki potevano essere evitate scegliendo di lanciarla in una zona non abitata. Alcuni storici considerano gli episodi di Hiroshima e Nagasaki come veri e propri atti di terrorismo di stato.


 La città di Nagasaki prima e dopo la bomba atomica

Alcuni invece ritengono che l’uso della bomba atomica sia stato inutile, visto che i Giapponesi nella realtà erano già stati sconfitti. Per altri commentatori la bomba atomica che ha colpito le due città giapponesi era un chiaro monito anche per l’Unione Sovietica. Insomma, a quanto pare ci sono anche elementi di strategia militare che hanno determinato la scelta di un'arma di distruzione di massa, ma comunque la si guardi la storia la ricorderà come una scelta deprecabile.

Ed un gran sole si accese in cielo

Il brano che segue è tratto dal famoso romanzo “Il gran sole di Hiroshima” di Karl Bruckner.
È il 6 agosto 1945 e nel cielo di Hiroshima appare una luce accecante, intensa come un nuovo sole. È l’esplosione della prima bomba atomica, la cui potenza distrusse l’intera città, provocando oltre 150 000 fra morti e feriti. L’ordigno sconvolse anche le vite di chi miracolosamente scampò al disastro arrecando, negli anni successivi, conseguenze pesanti alla salute, a causa delle radiazioni.

Il colonnello Tibbets, comandante del B29 “Enola Gay1”, guidò l’apparecchio a 8000 metri d’altezza, verso il centro della città di Hiroshima2. Nello spazio riservato al carico, l’armiere, maggiore Farabee, mise in funzione il meccanismo di sganciamento della bomba. Poi mirò il bersaglio.
La bomba cadde.
Con un miagolio infernale il mostro precipitò giù.
Gli uomini dell’equipaggio dell’“Enola Gay” inforcarono subito, secondo gli ordini ricevuti, neri occhiali protettivi davanti ai vetri della maschera per l’ossigeno. Nessuno di loro sapeva a quale scopo dovevano servire questi occhiali. Nessuno di loro sapeva che cosa sarebbe accaduto il minuto successivo. Essi eseguivano soltanto un ordine preciso.
E aspettarono, con le membra così irrigidite da parere insensibili.
Tendevano l’orecchio, credevano di sentire l’urlo della bomba che precipitava. Ma era soltanto il pulsare del loro stesso sangue.
E tutti guardavano fissi nel vuoto, senza vedere, con i volti impietriti dal presentimento di una catastrofe mai vista ancora sulla faccia della Terra.
Per quanto forte battesse il polso del colonnello Tibbets, il suo orologio seguitava indisturbato a scandire il tempo con le sue rotelline; un secondo dietro l’altro si trasformavano in passato.
Le lancette segnavano le otto, quattordici minuti e trentacinque secondi.
Alla bomba era attaccato un paracadute che, per mezzo di un apparecchio appositamente studiato, si aprì com’era previsto.
La bomba oscillò, sempre scendendo verso terra, appesa al paracadute. Le lancette dell’orologio segnarono le otto, quattordici minuti e cinquanta secondi.
La bomba si trovava a 600 metri dal suolo.
Alle otto e quindici minuti era scesa di altri 100 metri, quando altri apparecchi inventati dagli scienziati fecero scattare l’accensione all’interno della bomba: neutroni provocarono la disintegrazione di alcuni atomi di un metallo pesante, l’uranio 235. E questa disintegrazione si ripeté in una reazione a catena di sbalorditiva velocità.
In un milionesimo di secondo, un nuovo sole si accese nel cielo, in un bagliore bianco, abbagliante.
Fu cento volte più incandescente del sole nel firmamento.
E questa palla di fuoco irradiò3 milioni di gradi di calore contro la città di Hiroshima.
In questo secondo, 86.000 persone arsero vive.
In questo secondo, 72.000 persone subirono gravi ferite.
In questo secondo, 6.820 case furono stritolate e scagliate in aria dal risucchio di un vuoto d’aria, per chilometri d’altezza nel cielo, sotto forma di una colossale nube di polvere.
In questo secondo, crollarono 3.750 edifici, le cui macerie si incendiarono.
In questo solo secondo, raggi mortali di neutroni e raggi gamma bombardarono il luogo dell’esplosione per un raggio di un chilometro e mezzo.
In questo secondo, l’uomo, che Dio aveva creato a propria immagine e somiglianza, aveva compiuto, con l’aiuto della scienza, il primo tentativo di annientare se stesso.
Il tentativo era riuscito.
(Adattato da K. Bruckner, Il gran sole di Hiroshima, Giunti, Firenze, 2004)

1. B29 “Enola Gay”: nome del bombardiere che sganciò su Hiroshima la prima bomba atomica. Enola Gay è il nome della madre del pilota Tibbets.
2. Hiroshima: città del Giappone situata nella parte più occidentale dell’isola di Honshu. A pochi chilometri di distanza c’è Nagasaki, la città su cui fu sganciata la seconda bomba atomica.

3. irradiò: sprigionò.

Prova a rispondere alle suguenti domande:

1. Chi è il colonnello Tibbets?
a. Il comandante del B29 “Enola Gay”.
b. Il copilota del B29 “Enola Gay”.
c. Il comandante delle Forze armate americane.

2. Chi mette in funzione il meccanismo di sganciamento della bomba?
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3. Subito dopo aver sganciato la bomba, che cosa indossa l’equipaggio dell’aereo?
a. Occhiali da vista.
b. Occhiali neri protettivi.
c. Occhiali da sole.

4. A che ora la bomba atomica si trova a 600 metri da terra?
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5. La bomba scende lentamente verso terra. Per quale motivo?
a. È molto leggera.
b. È avvolta in un cellophane nero.
c. È appesa a un paracadute.

6. A tuo parere, per quale motivo ai militari presenti sull’“Enola Gay” fu ordinato di
indossare occhiali dalle lenti scure?
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7. Nel testo si legge: «In un milionesimo di secondo, un nuovo sole si accese nel cielo, in un bagliore...». Quali aggettivi fra quelli proposti di seguito sono adatti a completare la frase? Sottolineali.
offuscato – cupo – accecante – abbagliante – luminosissimo – opaco

8. Nel linguaggio figurato molto spesso si usa l’espressione “a prova di bomba”. È un’espressione che indica una teoria, un giudizio o una giustificazione che:
a. può essere contestata solo con un giudizio negativo come una bomba.
b. può resistere a qualsiasi attacco o critica.
c. ha effetti devastanti.

9. Quali fra i seguenti aggettivi sono sinonimi e quali contrari di luminoso? Inserisci gli aggettivi proposti nella tabella.
annebbiato – appannato – buio – brillante – smagliante – luminescente – scintillante – scuro – splendente – plumbeo

Una gru origami




Il bombardamento atomico di Hiroshima

Ricostruzione del bombardamento atomico di Hiroshima al termine della seconda guerra mondiale, il 6 agosto 1945

Filmati reali delle due bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki

Sopra il cielo di Hiroshima

Sopra il cielo di Hiroshima volano migliaia di piccole gru di carta. Si danno appuntamento ogni 6 agosto: compiono alcuni cerchi nel cielo e planano sulla città, posandosi su un monumento dedicato a una bambina. Ricordano il 6 di agosto di 65 anni fa, il momento in cui Hiroshima fu illuminata da un gran sole. Un sole che portò la notte per 100mila persone. Sadako Sasaki aveva due anni quando fu proiettata fuori dalla sua stanza, a 1,7 chilometri esatti dal punto in cui 'Little Boy', il ragazzino, lasciò intorno a sé l'inferno. Apparentemente, la figlia del barbiere di Kusunoki-cho, il quartiere dove i Sasaki vivevano, non riportò nemmeno un graffio. La madre, accecata dallo scoppio, l'aveva raccolta, stretta tra le braccia, attraversato il parco di Oshiba con il cuore in gola, corso accanto alla fabbrica di legno, accanto a dove pensava ci fosse ancora la fabbrica di legno, e indugiato stupefatta sul ponte Misasa, dove l'aveva colta la 'pioggia nera', l'anima di cenere della bomba che ricadeva a terra, ammantando quanto le fiamme dell'atomo avevano risparmiato. Finalmente in salvo.

La guerra finì. La resa incondizionata che l'imperatore Hirohito firmò il 2 settembre 1946 costò al Giappone centinaia di migliaia di vite: il pedaggio estorto dagli Usa in rappresaglia per Pearl Harbor e per la scellerata alleanza con Germania e Italia. Il padre di Sadako ricostruì il negozio nel 1947 e a
poco a poco la vita tornò alla normalità. La vita tornò, a Hiroshima, e Sadako crebbe, esile ma vigorosa, centotrentacinque centimetri per 27 chili, una tre le più agili del suo corso, alle elementari di Nabori-cho. A 11 anni era la più veloce di tutte, sulla pista d'erba della scuola: 50 metri in 7,5 secondi. Non perdeva mai una gara. Neanche quando, nell'autunno del '54, arrivò stranamente sfinita e pallida al termine della corsa. Esausta come mai si era sentita prima. Era 'Little Boy', il ragazzino cattivo che 9 anni prima l'aveva scagliata fuori dalla finestra. Era tornato. Furtivo e subdolo, aveva atteso che Sadako crescesse, che cominciasse a vincere le corse sulla pista d'erba, a giocare con le compagne, a sognare sussurrando all'orecchio di Chizuko, la sua migliore amica, il nome del bambino in fondo alla classe, quello che le piaceva. Ma 'Little Boy' la voleva per sé.

Nel novembre del 1954, un fastidioso gonfiore sul collo costrinse Sadako a letto per alcuni giorni. A Capodanno il gonfiore si era esteso alla faccia, e piccole macchie color porpora erano comparse sulla gamba sinistra della bambina. Il 18 febbraio del '55 la diagnosi: leucemia. Il 21 il ricovero all'ospedale della Croce Rossa, con appena un anno di vita da vivere, prima che i globuli bianchi proliferassero impazziti nel suo sangue, portandole via l'ossigeno.
Fu Chizuko a regalarle l'origami: una piccola gru di carta nella quale erano racchiuse una leggenda e una speranza. La leggenda era che chiunque avesse costruito mille gru di carta, avrebbe compiaciuto a tal punto gli dei da poter esprimere qualsiasi desiderio. La speranza era di arrivare a costruirli, tutti quegli origami.

La storia di Sadako termina la mattina del 25 ottobre 1955. C'è chi dice che le sue mani si fermarono dopo 644 origami. Per altri, il numero di mille fu abbondantemente superato.
Oggi, Sadako è su un piedistallo di granito nel Parco della pace di Hiroshima, con le mani tese a sorreggere una gru di carta. La statua fu costruita nel 1958. Nacque da un'idea dei compagni di classe di Sadako e fu eretta anche grazie alle donazioni degli studenti di tutto il Giappone.

Alla sua base, un'iscrizione recita: "Questo è il nostro grido. Questa è la nostra preghiera. Pace nel mondo". Ogni anno, i bambini di tutto il mondo costruiscono origami per Sadako, divenuta un simbolo universale di pace e speranza. Ogni anno, sopra il cielo di Hiroshima, volano migliaia e migliaia di piccole gru di carta.



sabato 9 febbraio 2019

Il Giorno del Ricordo (10 febbraio): le vittime delle foibe

Che cos'è una foiba
“Foiba” è una parola dialettale della Venezia Giulia che viene dal latino “fovea” (cioè fossa): indica una cavità nella roccia, a forma di imbuto capovolto, profonda fino a 200 metri. Le foibe sono create dall’erosione dell’acqua nelle rocce calcaree della regione del Carso: nella penisola istriana ne sono state contate quasi duemila.     

A che cosa servirono le foibe
Alla fine della Seconda Guerra Mondiale le foibe furono usate dai soldati di Josip Brosz, detto “Maresciallo Tito”, che guidava la Jugoslavia, per “infoibare” (cioè gettare nella foiba) migliaia di italiani.
Non sappiamo esattamente quanti italiani furono eliminati in quel periodo, ma probabilmente furono 10.000 o 15.000.

Le origini della tragedia
Per molto tempo italiani e slavi avevano vissuto insieme in pace in Istria. Ma dopo la prima guerra mondiale l’Italia ottenne, con Trento e Trieste, tutta la penisola istriana. 500.000 slavi diventarono di colpo italiani senza averlo mai chiesto.  Per di più il governo italiano amministrò male l’Istria e non rispettò le tradizioni locali. Durante la seconda guerra mondiale questa situazione peggiorò perché gli slavi presero le armi contro i tedeschi e gli italiani (all’epoca alleati).



Le due fasi degli infoibamenti
Gli infoibamenti avvennero in due fasi: la prima nel 1943 e la seconda nel 1945. Nel 1943 l’Italia aveva chiesto l’armistizio agli americani ed aveva smesso di combattere insieme alla Germania: perciò i soldati italiani dovettero lasciare l’Istria. Così i soldati e i contadini slavi massacrarono mille italiani, visti come “nemici del popolo”.
La seconda fase, molto più drammatica, avvenne alla fine della guerra, quando i soldati jugoslavi di Tito riuscirono ad arrivare a Trieste prima dei soldati americani (1° maggio 1945). Gli ordini di Tito erano chiari: bisognava togliere di mezzo gli italiani, anche con la violenza se necessario. Se infatti nelle terre di Trieste e Gorizia fossero rimasti pochi italiani, Tito avrebbe potuto chiedere durante le trattative di pace che venissero date alla Jugoslavia. Cominciò così una vera e propria caccia all’italiano che coinvolse tutti: non solo i capi fascisti, ma anche i soldati, gli industriali, gli impiegati, la gente comune.
Così, per alcuni mesi, a Trieste e nei dintorni regnò il terrore. Per esempio, nella sola Trieste, i soldati di Tito presero 8000 persone: solo una parte riuscì a tornare a casa.



Come avvenivano gli infoibamenti
Gli italiani venivano arrestati, spesso di notte. Alcuni venivano deportati nei terribili campi di concentramento jugoslavi, dove spesso morivano di fame; gli altri venivano giudicati in finti processi, dove venivano sempre condannati a morte. Quindi, dopo essere stati torturati, venivano portati nei pressi di una foiba; i loro torturatori, col filo di ferro, stringevano i loro polsi e i loro piedi e spesso li legavano fra loro.
A quel punto sparavano al primo del gruppo, che cadendo nella foiba trascinava con sé gli altri, ancora vivi. A volte, per finire i sopravvissuti e per chiudere la foiba per sempre, vi venivano lanciate dentro delle bombe.
Ma non tutti morirono nelle foibe: a parte i deportati nei campi di concentramento, altri vennero buttati in mare, con una pietra al collo.



La fine dell'incubo
Finalmente il 9 giugno fu creata la linea Morgan, che creava due zone di occupazione: la Zona A (praticamente quella che poi diventò la provincia di Trieste), controllata dai soldati inglesi e americani, e la Zona B, controllata dalla Jugoslavia.
Tuttavia gli arresti e le sparizioni non finirono del tutto. Questo creò il terrore fra gli italiani rimasti, che abbandonarono l’Istria. Si creò così un ulteriore dramma: quello dei 250.000 (o più) profughi istriani, accolti spesso con fastidio e disprezzo dai loro stessi connazionali in Italia.
Il 10 febbraio 1947, con il trattato di Parigi, veniva stabilito ufficialmente il confine tra la Jugoslavia di Tito e la Zona A (il Territorio Libero di Trieste, controllato da forze militari alleate e passato definitivamente all’Italia solo nel 1954).
Per tale motivo ogni 10 febbraio viene celebrato il Giorno del ricordo, solennità civile italiana, istituita con la legge 30 marzo 2004 n. 92.


martedì 1 gennaio 2019

Dante e la Divina Commedia in breve: due esempi di canti

DANTE ALIGHIERI

Dante  Alighieri è uno dei più grandi scrittori italiani e per la sua importanza è considerato il padre della lingua italiana.
Egli nacque a Firenze nel 1265 da una famiglia guelfa, cioè sostenitrice del papa contro l’imperatore. Lesse e studiò moltissimo, dai classici latini ai poeti provenzali e siciliani;  inoltre entrò nella politica e diventò addirittura uno dei Priori (cioè uno dei capi del governo) di Firenze.
Purtroppo fu una vittima delle lotte politiche tra Guelfi bianchi e Guelfi neri; quando i Guelfi neri presero il comando di Firenze, lui, che era un Guelfo bianco, venne condannato e mandato in esilio. Cominciarono per Dante gli anni  più tristi, perché fu costretto a girovagare e trovare ospitalità presso molte corti italiane.  Però furono anni importanti perché scrisse molte opere, come il suo capolavoro, la Divina Commedia. Morì nel 1321 a Ravenna, dove fu sepolto.


Tra le sue opere ricordiamo:

  • la Vita Nova, opera in versi e prosa, dove racconta del suo amore per Beatrice che continua anche dopo la sua morte; 
  • il Convivio, una specie di enciclopedia delle conoscenze più importanti; 
  • il De Vulgari Eloquentia (si legge: eloquenzia) dedicata alle lingue volgari, cioè le lingue parlate che hanno sostituito il latino; 
  • il suo capolavoro, la Divina Commedia, un viaggio del poeta nei tre regni dell’aldilà (Inferno, Purgatorio, Paradiso) per raggiungere la salvezza dell’anima.  



LA DIVINA COMMEDIA

Il poema racconta il viaggio di Dante nell’Inferno, nel Purgatorio e nel Paradiso.
Dante racconta che si è perduto in una selva (= foresta) oscura (il peccato), e tre belve gli impediscono di uscire; ma arriva il poeta latino Virgilio a salvarlo, dicendogli che dovrà fare un viaggio in tutti e tre i regni dei morti.


L’Inferno ha la forma di un’enorme voragine (= buco nella terra) a forma di cono, diviso in 9 cerchi (o gironi); qui le anime malvagie scontano le loro terribili pene. Queste pene sono date per contrappasso, cioè esse ricordano il peccato compiuto in vita. Più in basso di tutti c’è il diavolo stesso, Lucifero, l’angelo che si era ribellato a Dio. Si trova al centro della Terra e con le sue tre bocche divora orribilmente i grandi traditori della storia: Giuda, Bruto e Cassio.





Il Purgatorio invece è una montagna in mezzo all’oceano. È divisa in 7 cornici e qui le anime devono purificarsi per poter arrivare in Paradiso. Quindi, a differenza delle anime dannate dell’Inferno, le loro pene non dureranno per l’eternità.
In cima al Purgatorio Virgilio deve abbandonare Dante perché non può salire in Paradiso. La sua guida diventa Beatrice, la donna che aveva amato quando era viva e che ora gli permette di avvicinarsi a Dio.




Il Paradiso è formato da 9 cieli. Qui Dante incontra i santi ed i beati, le anime buone che possono vedere Dio. I cieli prendono il nome del sole, della luna e dei pianeti conosciuti al tempo di Dante.
Alla fine Dante giunge nell’Empireo, la parte più alta del Paradiso. Grazie all’aiuto di San Bernardo e della Madonna, a Dante è permesso di guardare Dio, l'amor che move il sole e l'altre stelle.




IL CANTO TREDICESIMO DELL’INFERNO


Dante e Virgilio si trovano in un’orribile boscaglia, fatta di alberi contorti e senza foglie. Dante sente dei lamenti venire dagli alberi, allora Virgilio gli dice di spezzare un rametto; una voce lo rimprovera di averlo spezzato e dal ramo esce sangue.
L’anima nell’albero spiega che è Pier delle Vigne, segretario di Federico II, che persone invidiose avevano accusato falsamente di tradimento. Per disperazione si era suicidato, finendo all’Inferno.
I suicidi, dato che hanno rinunciato al loro corpo, non sono degni di averlo e vengono trasformati in piante. Dopo il Giudizio Universale, i loro corpi resteranno appesi ai rami (nell’Inferno la pena ricorda sempre il peccato fatto: è la legge del contrappasso).
Improvvisamente Dante e Virgilio vedono due dannati che scappano nudi dentro la boscaglia, ferendosi e spezzando i rami. Quello più lento viene raggiunto da due cani neri che lo sbranano e portano via le carni. I dannati sono gli scialacquatori, cioè quelli che, spendendo senza limiti, hanno distrutto tutto quello che avevano e ora essi stessi vengono fatti a pezzi.




IL CANTO TRENTATREESIMO DEL PARADISO




Dante è arrivato alla fine del suo  viaggio: gli resta solo di poter vedere Dio. Ma Dante è un uomo vivo, non un’anima; allora San Bernardo, in una bellissima preghiera, chiede alla Vergine Maria di dare a Dante la forza sufficiente per poter guardare nella mente di Dio.
Maria dice di sì e San Bernardo, con un sorriso, invita Dante a guardare in alto. Le parole non riescono a spiegare quello che Dante ha visto; quello che Dante ricorda è soprattutto la dolcezza infinita provata guardando Dio.
Dante vede dentro la mente di Dio tutto l’universo ed il mistero della Trinità. La vista di Dio diventa una felicità infinita, perché Dante comprende ogni mistero dell’universo ed ha la risposta ad ogni domanda. Con la visione dell’amore infinito di Dio finisce la Divina Commedia.

Pinocchio: un copione

  SCENA N° 1 Mastro Ciliegia     Cantastorie   Questa è la storia di un burattino che vuole essere un vero bambino Ma è bugi...